Nulla di fatto al Forum mondiale dell'acqua ad Istanbul
Il quinto Forum mondiale dell’acqua si è chiuso ieri a Istanbul senza una definizione
comune e condivisa sulle risorse idriche. Non sono bastati quasi 30 mila congressisti
e 150 tra ministri, capi di Stato e di governo per raggiungere un accordo nonostante
l'emergenza idrica. Da Istanbul, il servizio di Alberto De Filippis.
Dopo una
settimana di discussioni non c’è stato accordo: l’acqua non è un diritto ma soltanto
“un bisogno fondamentale”. Niente da fare quindi per le istanze di quell’oltre miliardo
di persone che secondo le Nazioni Unite soffrono la sete, cioè che hanno difficoltà
di accesso all’acqua potabile. E soprattutto per gli otto milioni di morti l’anno
provocati dalla carenza di acqua e di servizi igienico-sanitari. L’allarme era stato
lanciato martedì dal rapporto delle Nazioni Unite: 384 pagine, alla cui stesura avevano
partecipato una mezza dozzina di agenzie delle Nazioni Unite, per affermare che il
rischio per la Terra è che nel 2030 metà della popolazione mondiale sia assetata,
che resti cioè al di sotto della soglia minima di almeno 50 litri al giorno. Primo
fra i continenti a rischio è l’Africa. Eppure non ci sarebbe tempo da perdere: 2,5
miliardi di uomini hanno problemi igienico-sanitari, quasi 4 mila bambini muoiono
ogni giorno per la mancanza di acqua. A Istanbul dunque è andato in scena un compromesso
che non è andato bene alle ong che invece hanno partecipato al Forum alternativo.
Il mondo delle ong però non si è mai fatto illusioni. Non potevano uscire dichiarazioni
di rottura dal Consiglio mondiale dell’acqua, un think-tank privato molto vicino alla
Banca mondiale e alle multinazionali. E nel documento del Forum mondiale si andava
anche oltre, parlando dell’uso dell’acqua per produrre energia idroelettrica attraverso
faraoniche dighe e dell’aumento della produzione di biocarburante. La stessa Ankara
ha annunciato la costruzione di un migliaio di dighe consapevole che è sull’acqua
che si giocheranno i wargames, i giochi di guerra dei prossimi anni. Tutto nasce da
un problema di fondo: il convincimento che l’acqua potabile sia una risorsa inesauribile.
“Cassandre” che avvertono che così non è, ce ne sono. Il problema è che le ascoltano
in pochi.
Sulle conclusioni del Forum di Istanbul e
sulle aspettative della società civile, Stefano Leszczynski ha intervistato
Guido Barbera portavoce del Cipsi, organismo non governativo per lo sviluppo,
che ha partecipato al Forum alternativo sull’acqua svoltosi sempre in Turchia:
R. – Dobbiamo
focalizzare la differenza che c’è tra il concetto di bisogno e il concetto di diritto
perché c’è una differenza sostanziale. Affermare che l’acqua è un diritto significa
riconoscere che la collettività ha la responsabilità di creare le condizioni affinché
questo diritto possa essere garantito. Se invece parliamo di acqua come bisogno la
collochiamo in un contesto dove la capacità economica ricade sul singolo ed è il singolo
che deve trovare la propria capacità economica per soddisfare il bisogno e, quindi,
rientriamo nella sfera della mercificazione dell’acqua, nella privatizzazione della
gestione delle acque, che è proprio il problema che in questi ultimi anni stiamo vivendo.
D.
- Come avviene questo processo di commercializzazione, stiamo parlando di qualcosa
che va al di là dello sfruttamento delle acque minerali…
R.
– Certamente va al di là, anche se il business intorno alle acque minerali è una cosa
indecente, ma giustamente la privatizzazione, la mercificazione dell’acqua, la viviamo
soprattutto negli acquedotti dove sempre di più le società che gestiscono l’acqua
sono gestite da società di capitale, da grosse multinazionali o da società private.
Abbiamo visto che questo non risolve il problema di accesso all’acqua per la popolazione,
anzi: il privato deve guadagnare. Pensiamo che in un Paese come il Burkina Faso l’allaccio
all’acqua da quando è stato privatizzato costa oltre 6 mesi di salario di una famiglia:
come campa quella famiglia in quei sei mesi? Come può spendere sei mesi di salario
solamente per allacciarsi alla distribuzione delle acque?
D.
- Se il privato deve trarre profitto investendo su una risorsa come l’acqua, gli Stati
non sempre sono da meno, tanto da provocare a volte delle crisi internazionali anche
molto gravi…
R. - Sicuramente un’altra delle grosse
problematiche è la gestione delle acque attraverso le dighe dove rischiano di creare
dei forti conflitti come in Turchia che è una zona cruciale in questo senso.
D.
– A Istanbul si è svolto anche un Forum alternativo. La società civile cosa propone?
R.
– Continuiamo a chiedere con insistenza che l’acqua venga riconosciuta come diritto
universale e alcuni spiragli ci sono perché a Istanbul, anche se probabilmente non
è emerso nei vari comunicati, c’è stata anche una risoluzione alternativa presentata
da almeno 20 Stati, quindi un decimo degli Stati presenti, che chiedeva formalmente
il riconoscimento completo dell’acqua come diritto e la gestione di questo bene, di
questo diritto, in un luogo politico, che è quello delle Nazioni Unite, non in una
sede privata gestita dalle multinazionali.