Veglia per i missionari martiri nella Basilica romana di San Lorenzo al Verano
Per non dimenticare chi ha testimoniato la gioia della fede a costo della vita: con
questo obiettivo si svolge questa sera, alle 21, presso la Basilica romana di San
Lorenzo al Verano, una veglia di preghiera in memoria dei missionari martiri. L’iniziativa
è organizzata dal Centro per la Cooperazione missionaria tra le Chiese del Vicariato
di Roma. Momento centrale sarà il ricordo di don Andrea Santoro, il sacerdote ucciso
in Turchia nel 2006, del quale verranno lette alcune lettere. La veglia ha come tema
“Non restare nascosto”, su cui si sofferma don Michele Caiàfa, organizzatore
dell’iniziativa, intervistato da Isabella Piro:
R. – Non
restare nascosto è una grande esortazione a venire alla luce. Abbiamo bisogno di cristiani
che si espongano, che esprimano con chiarezza e fedeltà al Vangelo la propria fede.
Abbiamo bisogno di una testimonianza autentica. Ci ricordava già Papa Paolo VI che
non abbiamo bisogno tanto di maestri quanto di testimoni e la testimonianza passa
attraverso la dinamica esperienziale del nostro vivere nel tempo. Solo nel 2008 noi
abbiamo un elenco di venti cristiani uccisi a causa del Vangelo in odio alla fede
cattolica.
D. - Don Michele, siamo nel ventunesimo
secolo e la Chiesa continua a contare appunto nuovi martiri: questo cosa significa
secondo lei?
R. – Significa che la Chiesa è viva
perché fin tanto che ci saranno martiri noi possiamo esprimere il dinamismo dello
Spirito, uomini e donne che coraggiosamente annunciano il Vangelo anche in condizioni
estremamente rischiose. Sarebbe facile cedere a compromessi, ma la fede non è negoziabile.
Il Vangelo non è soggetto a sconti, lo si annuncia integralmente anche donando la
vita e la Chiesa non deve mai dimenticare la testimonianza di questi coraggiosi cristiani
che sono per noi un faro, una luce. Noi abbiamo la fortuna di vivere in un contesto
culturale e sociale dove la dinamica della fede, in fondo, la si può vivere con grande
tranquillità. Noi abbiamo altre forme di martirio nella nostra odierna cultura, come
il martirio della derisione, il martirio della marginalità, forme talvolta di martirio
più subdole, ma uomini e donne che donano la propria vita, che versano il sangue per
il Vangelo, sono davvero dei grandi esempi per noi e la Chiesa vive di questi esempi.
Del resto, il primo grande martire è l’Uomo Crocifisso, il Figlio di Dio, Gesù Cristo,
Lui ci ha dato l’esempio e noi dobbiamo fare altrettanto.
D.
– Don Michele nel mondo di oggi improntato al tutto e subito, come insegnare il valore
del martirio, il valore del sacrificio?
R. – E’ la
semplicità dell’insegnamento di Gesù che ci aiuta ad essere naturalmente martiri.
Noi non puntiamo all’eroismo, ai colpi di scena, ma morire da martiri significa vivere
da martiri, cioè vivere da testimoni. Bisogna semplicemente aderire all’insegnamento
di Cristo e viverlo nella dinamica della storia personale. Nella vita nessuno ha mai
pensato di diventare martire. I martiri hanno semplicemente vissuto il Vangelo, nelle
difficoltà di ogni giorno, ma innamorati di Cristo con il cuore sempre orientato verso
lui, con il desiderio di seguirlo sempre e comunque.