L'incontro col mondo della sofferenza e la consegna dell’Istrumentum laboris per il
Sinodo per l'Africa: i testi integrali dei discorsi del Papa
Ieri, festa di san Giuseppe e onomastico del Santo Padre, è stato il giorno della
Messa, nello stadio di Yaoundé, e della consegna dell’Instrumentum laboris per il
II Sinodo dei vescovi per l’Africa. Poi nel pomeriggio l’incontro con il mondo della
sofferenza e in serata, presso la nunziatura, con il Consiglio speciale dei vescovi
per il sinodo. Il servizio da Yaoundé del nostro inviato Giancarlo La Vella:
Di
seguito il testo integrale del discorso del Papa nell'incontro con il mondo della
sofferenza: Signori Cardinali, Signora
Ministro per gli Affari Sociali, Signor Ministro della Sanità, Cari
fratelli nell’Episcopato e caro Monsignor Giuseppe Djida, Signor Direttore
del Centro Cardinal Léger, Gentile personale assistenziale, cari malati, ho
vivamente desiderato trascorrere questi momenti con voi, e sono felice di potervi
salutare. Un saluto particolare rivolgo a voi, fratelli e sorelle che portate il peso
della malattia e della sofferenza. Voi sapete di non essere soli nella vostra sofferenza,
perché Cristo stesso è solidale con coloro che soffrono. Egli rivela ai malati e agli
infermi il posto che essi hanno nel cuore di Dio e nella società. L’evangelista Marco
ci offre come esempio la guarigione della suocera di Pietro: “Senza attendere oltre
– sta scritto - si parla a Gesù della malata. Gesù si avvicina a lei, la prende per
mano e la fa alzare” (Mc 1,30-31). In questo passo del Vangelo noi vediamo Gesù vivere
una giornata tra i malati per sollevarli. Egli ci rivela anche, con gesti concreti,
la sua tenerezza e la sua benevola attenzione verso tutti quelli che hanno il cuore
spezzato e il corpo ferito. Da questo Centro, che porta il nome del Cardinale
Paolo Emilio Léger, figlio del Canada, che venne tra voi per curare i corpi e le anime,
io non dimentico coloro che, nelle loro case, negli ospedali, negli ambienti specializzati
o nei dispensari, sono portatori di un handicap, sia motorio che mentale, né coloro
che nella loro carne portano i segni delle violenze e delle guerre. Penso anche a
tutti i malati, e specialmente qui, in Africa, a quelli che sono vittime di malattie
come l’Aids, la malaria e la tubercolosi. So bene come presso di voi la Chiesa cattolica
sia fortemente impegnata in una lotta efficace contro questi terribili flagelli, e
la incoraggio a proseguire con determinazione questa opera urgente. A voi che siete
provati dalla malattia e dalla sofferenza, a tutte le vostre famiglie, desidero portare
da parte del Signore un pò di conforto, rinnovarvi il mio sostegno ed invitarvi a
rivolgervi a Cristo e a Maria che egli ci ha dato come Madre. Ella ha conosciuto la
sofferenza, ed ha seguito suo Figlio sul cammino del Calvario, conservando nel suo
cuore l’amore medesimo che Gesù è venuto a portare a tutti gli uomini. Davanti
alla sofferenza, la malattia e la morte, l’uomo è tentato di gridare sotto l’effetto
del dolore, come ha fatto Giobbe, il cui nome significa ‘sofferente’ (cfr Gregorio
Magno, Moralia in Job, I, 1, 15). Gesù stesso ha gridato poco prima di morire (cfr
Mc 15,37; Eb 5,7). Quando la nostra condizione si degrada, l’angoscia aumenta; alcuni
sono tentati di dubitare della presenza di Dio nella loro esistenza. Giobbe, al contrario,
è consapevole della presenza di Dio nella sua vita; il suo grido non si fa ribellione,
ma, dal profondo della sua sventura, egli fa emergere la sua fiducia (cfr Gb 19;42,2-6).
I suoi amici, come ognuno di noi davanti alla sofferenza di una persona cara, si sforzano
di consolarlo, ma usano delle parole vuote. In presenza di sofferenze atroci,
noi ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste. Davanti ad un fratello
o una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso e compassionevole,
la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto,
uno sguardo, un sorriso, possono fare più che tanti discorsi. Questa esperienza è
stata vissuta da un piccolo gruppo di uomini e donne tra i quali la Vergine Maria
e l’Apostolo Giovanni, che hanno seguito Gesù al culmine della sua sofferenza nella
sua passione e morte sulla Croce. Tra costoro, ci ricorda il Vangelo, c’era un africano,
Simone di Cirene. Egli venne incaricato di aiutare Gesù a portare la Sua Croce sul
cammino verso il Golgota. Quest’uomo, anche se involontariamente, è venuto in aiuto
all’Uomo dei dolori, abbandonato da tutti i suoi e consegnato ad una violenza cieca.
La storia ricorda dunque che un africano, un figlio del vostro continente, ha partecipato,
con la sua stessa sofferenza, alla pena infinita di Colui che ha redento tutti gli
uomini compresi i suoi persecutori. Simone di Cirene non poteva sapere che egli aveva
il suo Salvatore davanti agli occhi. Egli è stato “requisito” per aiutarlo (cfr Mc
15,21); egli fu costretto, forzato a farlo. E’ difficile accettare di portare la croce
di un altro. E’ solo dopo la risurrezione che egli ha potuto comprendere quello che
aveva fatto. Così è per ciascuno di noi, fratelli e sorelle: al cuore della disperazione,
della rivolta, il Cristo ci propone la Sua presenza amabile anche se noi fatichiamo
a comprendere che egli ci è accanto. Solo la vittoria finale del Signore ci svelerà
il senso definitivo delle nostre prove. Non si può forse dire che ogni Africano
è in qualche modo membro della famiglia di Simone di Cirene? Ogni Africano e ogni
sofferente aiutano Cristo a portare la sua Croce e salgono con Lui al Golgota per
risuscitare un giorno con Lui. Vedendo l’infamia di cui è oggetto Gesù, contemplando
il suo volto sulla Croce, e riconoscendo l’atrocità del suo dolore, possiamo intravvedere,
con la fede, il volto luminoso del Risorto che ci dice che la sofferenza e la malattia
non avranno l’ultima parola nelle nostre vite umane. Io prego, cari fratelli e sorelle,
perché vi sappiate riconoscere in questo ‘ Simone di Cirene’. Prego, cari fratelli
e sorelle malati, perché molti ‘Simone di Cirene’ vengano anche al vostro capezzale. Dopo
la risurrezione e fino ad oggi, molti sono i testimoni che si sono rivolti, con fede
e speranza, al Salvatore degli uomini, riconoscendo la Sua presenza al centro della
loro prova. Il Padre di tutte le misericordie accoglie sempre con benevolenza la preghiera
di chi si rivolge a Lui. Egli risponde alla nostra invocazione e alla nostra preghiera
come Egli vuole e quando vuole, per il nostro bene e non secondo i nostri desideri.
Sta a noi discernere la sua risposta e accogliere i doni che Egli ci offre come una
grazia. Fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, con fede e coraggio, perché da
Lui provengono la Vita, il conforto, le guarigioni. Sappiamo guardare Colui che vuole
il nostro bene e sa asciugare le lacrime dei nostri occhi; sappiamo abbandonarci
nelle sue braccia come un bambino nelle braccia della mamma. I santi ce
ne hanno dato un bell’esempio con la loro vita interamente affidata a Dio, nostro
Padre. Santa Teresa d’Avila, che aveva messo il suo monastero sotto il patrocinio
di san Giuseppe, è stata guarita da una sofferenza nel giorno stesso della sua festa.
Ella ripeteva che non lo aveva mai pregato inutilmente e lo raccomandava a tutti quelli
che pensavano di non saper pregare: “ Non comprendo, scriveva, come si possa pensare
alla Regina degli Angeli e a tutto quello che ella ha dovuto affrontare durante l’infanzia
del Bambino Gesù, senza ringraziare san Giuseppe della dedizione così perfetta con
la quale egli è venuto in aiuto dell’uno e dell’altra. Colui che non trova nessuno
che gli insegni a pregare scelga questo ammirabile santo per maestro e non avrà più
a temere di smarrirsi sotto la sua guida” ( Vita, 6). Da intercessore per la salute
del corpo, la santa vedeva in san Giuseppe un intercessore per la salute dell’anima,
un maestro di orazione, di preghiera. Scegliamolo anche noi come maestro
di preghiera. Non solamente noi che siamo in buona salute, ma anche voi, cari malati
e tutte le famiglie. Penso particolarmente a voi che fate parte del personale ospedaliero
e a tutti coloro che lavorano nel mondo della sanità. Accompagnando coloro che soffrono
con la vostra attenzione e con le cure che date loro, voi adempite un atto di carità
e di amore che Dio riconosce: “ Ero malato e mi avete visitato” ( Mt 25,36). A voi,
ricercatori e medici, spetta mettere in opera tutto quello che è legittimo per sollevare
il dolore; spetta a voi in primo luogo proteggere la vita umana, essere i difensori
della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale. Per ogni uomo, il rispetto
della vita è un diritto e nello stesso tempo un dovere, perché ogni vita è un dono
di Dio. Voglio, assieme a voi, rendere grazie al Signore per tutti coloro che, in
una maniera o in un’altra, operano a servizio delle persone che soffrono. Incoraggio
i sacerdoti e i visitatori degli ammalati a impegnarsi con la loro presenza attiva
ed amichevole nella pastorale sanitaria negli ospedali o per assicurare una presenza
ecclesiale a domicilio, per il conforto e il sostegno spirituale dei malati. Secondo
la sua promessa, Dio vi darà il giusto salario e vi ricompenserà in cielo. Prima
di salutarvi personalmente e congedarmi da voi, vorrei assicurare a ciascuno la mia
vicinanza affettuosa e la mia preghiera. Desidero anche esprimere il mio desiderio
che ognuno di voi non si senta mai solo. Spetta in effetti ad ogni uomo, creato ad
immagine del Cristo, farsi prossimo del suo vicino. Affido tutti e tutte all’intercessione
della Vergine Maria, nostra Madre, e a quella di san Giuseppe. Che Dio ci conceda
di essere gli uni per gli altri, portatori della misericordia, della tenerezza e dell’amore
del nostro Dio e che Egli vi benedica!
E ora il testo integrale del
discorso del Papa al Consiglio speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi:
Signori
Cardinali, cari Fratelli nell’Episcopato! E’ con profonda gioia
che saluto tutti voi, in questa terra d’Africa. Per essa, nel 1994, una Prima Assemblea
Speciale del Sinodo dei Vescovi è stata convocata dal mio venerato Predecessore, il
Servo di Dio Giovanni Paolo II, in segno di sollecitudine pastorale per questo continente
ricco sia di promesse, sia di pressanti necessità umane, culturali e spirituali. L’ho
chiamato questa mattina “il continente della speranza”. Ricordo con gratitudine la
firma dell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, che ebbe luogo
proprio qui 14 anni or sono, nella Festa dell’Esaltazione della Croce, il 14 settembre
1995. La mia riconoscenza va a Mons. Nikola Eterović, Segretario Generale
del Sinodo dei Vescovi, per le parole che mi ha indirizzato a nome vostro, introducendo
questo incontro in terra africana con voi, cari membri del Consiglio Speciale
per l’Africa. Tutta la Chiesa guarda con attenzione a questo incontro in vista della
Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinododei Vescovi, che, a Dio
piacendo, sarà celebrata nel prossimo ottobre. Il tema è: “La Chiesa in Africa al
servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. «Voi siete il sale della
terra … Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13.14)”. Ringrazio vivamente
i Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi membri del Consiglio Speciale per l’Africa,
per la loro esperta collaborazione alla redazione dei Lineamenta e dell’Instumentum
laboris. Vi sono riconoscente, cari Confratelli nell’Episcopato, per avere anche presentato
nei vostri contributi aspetti importanti della situazione ecclesiale e sociale attuale
dei vostri Paesi d’origine e della regione. Avete così sottolineato il grande dinamismo
della Chiesa in Africa, ma al tempo stesso avete evocato le sfide che il Sinodo dovrà
esaminare, affinché nella Chiesa in Africa la crescita non sia soltanto quantitativa
ma anche qualitativa. Cari Fratelli, in apertura della mia riflessione,
mi sembra importante sottolineare che il vostro continente è stato santificato dallo
stesso Signore nostro Gesù Cristo. All’alba della sua vita terrena, alcune tristi
circostanze gli hanno fatto calcare il suolo africano. Dio ha scelto il vostro continente
perché diventasse dimora del suo Figlio. Mediante Gesù, Dio è venuto incontro ad ogni
uomo, certamente, ma in modo particolare, incontro all’uomo africano. L’Africa ha
offerto al Figliodi Dio una terra che lo ha nutrito e una protezione efficace.
Mediante Gesù, duemila anni fa, Dio stesso ha portato il sale e la luce all’Africa.
Da allora, il seme della sua presenza è sepolto nelle profondità del cuore di questo
amato continente ed esso germoglia a poco a poco al di là e attraverso le vicissitudini
della sua storia umana. In conseguenza della venuta di Cristo che l’ha santificata
con la sua presenza fisica, l’Africa ha ricevuto una chiamata particolare a conoscere
Cristo. Che gli Africani ne siano fieri! Meditando e approfondendo spiritualmente
e teologicamente questa prima tappa della kénosi, l’Africano potrà trovare le forze
sufficienti per affrontare il suo quotidiano talvolta molto duro, e potrà allora scoprire
immensi spazi di fede e di speranza che l’aiuteranno a crescere in Dio. Alcuni
momenti significativi della storia cristiana di questo Continente possono ricordarci
il legame profondo che esiste tra l’Africa e il cristianesimo a partire dalle sue
origini. Secondo la venerabile tradizione patristica, l’evangelista san Marco, che
ha “trasmesso per iscritto ciò che era stato predicato da Pietro” (Ireneo, Adversus
haereses III, I, 1), venne ad Alessandria a rianimare la semente sparsa dal Signore.
Questo Evangelista ha reso testimonianza in Africa della morte in croce del Figlio
di Dio – ultimo momento della kénosi – e della sua elevazione sovrana, perché “ogni
lingua proclami: Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,11). La Buona
Novella della venuta del Regno di Dio si è diffusa rapidamente nel nord del vostro
Continente, dove haavuto illustri martiri e santi e ha generato insigni teologi. Dopo
essere stato messo alla prova da vicissitudini storiche, il cristianesimo, durante
quasi un millennio, non è rimasto che nella parte nord-orientale del Continente. Con
l’arrivo degli Europei che cercavano la via delle Indie, nei secoli XV e XVI, le popolazioni
sub-sahariane hanno incontrato Cristo. Furono le popolazioni costiere a ricevere per
prime il battesimo. Nei secoli XIX e XX, l’Africa sub-sahariana ha visto arrivare
missionari, uomini e donne, provenienti da tutto l’Occidente, dall’America Latina
e anche dall’Asia. Desidero rendere omaggio alla generosità della loro risposta incondizionata
alla chiamata del Signore e dal loro ardente zelo apostolico. Qui vorrei andare oltre
e parlare dei catechisti africani, compagni inseparabili dei missionari nell’evangelizzazione.
Dio aveva preparato il cuore di un certo numero di laici africani, uomini e donne,
persone giovani e più avanti negli anni, a ricevere i suoi doni e portare la luce
della sua Parola ai loro fratelli e sorelle. Laici con i laici, hanno saputo trovare
nella lingua dei loro padri le parole di Dio che hanno toccato il cuore dei loro fratelli
e sorelle. Hanno saputo condividere il sapore del sale della Parola e far risplendere
la luce dei Sacramenti che annunciavano. Hanno accompagnato le famiglie nella loro
crescita spirituale, hanno incoraggiato le vocazioni sacerdotali e religiose
e sono stati il legame tra le loro comunità e i sacerdoti e i vescovi.Con
naturalezza, hanno operato un’efficace inculturazione che ha portato meravigliosi
frutti (cfr Mc 4,20). Sono stati i catechisti a permettere che “la luce risplendesse
davanti agli uomini “ (Mt 5,16), perché vedendo il bene che facevano, intere popolazioni
hanno potuto rendere gloria al nostro Padre che è nei cieli. Sono Africani che hanno
evangelizzato Africani. Evocando il loro glorioso ricordo, saluto e incoraggio i loro
degni successori che lavorano oggi con la stessa abnegazione, lo stesso coraggio apostolico
e la stessa fede dei loro predecessori. Che Dio li benedica generosamente! Durante
questo periodo, la terra africana è stata anche benedetta da numerosi santi. Mi limito
a nominare i gloriosi Martiri dell’Uganda, i grandi missionari Anna Maria Javouhey
e Daniele Comboni, come pure Suor Anuarite Nengapeta e il catechista Isidoro Bakanja,
senza dimenticare l’umile Giuseppina Bakhita. Ci troviamo attualmente in
un momento storico che coincide, dal punto di vista civile, con l’indipendenza ritrovata
e, dal punto di vista ecclesiale, con l’evento del Concilio Vaticano II. La Chiesa
in Africa ha preparato e accompagnato durante questo periodo la costruzione delle
nuove identità nazionali e, parallelamente, ha cercato di tradurre l’identità di Cristo
secondo vie proprie. Mentre la Gerarchia si era a poco a poco africanizzata, a partire
dall’ordinazione da parte del Papa Pio XII di Vescovi del vostro continente, la riflessione
teologica cominciò a svilupparsi. Sarebbe bene che i vostri teologi continuassero
oggi ad esplorare la profondità del mistero trinitario e il suo significato per la
vita quotidiana africana. Questo secolo permetterà forse, con la grazia di Dio, la
rinascita, nel vostro continente, ma certamente sotto una forma diversa e nuova, della
prestigiosa Scuola di Alessandria. Perché non sperare che essa possa fornire agli
Africani di oggi e alla Chiesa universale grandi teologi e maestri spirituali che
potrebbero contribuire alla santificazione degli abitanti di questo continente e della
Chiesa intera? La Prima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi ha permesso di indicare
le direzioni da prendere e ha messo in evidenza, tra l’altro, la necessità di approfondire
e di incarnare il mistero di una Chiesa-Famiglia. Vorrei ora suggerire
qualche riflessione sul tema specifico della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa
del Sinodo dei Vescovi, relativo alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Secondo
il Concilio Ecumenico Vaticano II, “la Chiesa è in Cristo come sacramento, cioèsegno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”
(Lumen gentium, 1). Per adempiere bene la propria missione, la Chiesa dev’essere una
comunità di persone riconciliate con Dio e tra di loro. In questo modo, essa può annunciare
la Buona Novella della riconciliazione alla società attuale, che conosce purtroppo
in molti luoghi conflitti, violenze, guerre e odio. Il vostro continente non ne è
stato risparmiato ed è stato ed è ancora triste teatro di gravi tragedie, che fanno
appello ad una vera riconciliazione tra i popoli, le etnie, gli uomini. Per noi cristiani,
questa riconciliazione si radica nell’amore misericordioso di Dio Padre e si realizza
mediante la persona di Gesù Cristo che, nello Spirito Santo, ha offerto a tutti la
grazia della riconciliazione. Le conseguenze si manifesteranno allora con la giustizia
e la pace, indispensabili per costruire un mondo migliore. In realtà, nel
contesto sociopolitico ed economico attuale del continente africano, che cosa c’è
di più drammatico della lotta spesso cruenta tra gruppi etnici o popoli fratelli?
E se il Sinodo del 1994 ha insistito sulla Chiesa-Famiglia di Dio, quale può essere
l’apporto di quello di quest’anno, alla costruzione dell’Africa, assetata di riconciliazione
e alla ricerca della giustizia e della pace? I conflitti locali o regionali, i massacri
e i genocidi che si sviluppano nel Continente devono interpellarci in modo tutto particolare:
se è vero che in Gesù Cristo noi apparteniamo alla stessa famiglia e condividiamo
la stessa vita, poiché nelle nostre vene circola lo stesso Sangue di Cristo, che fa
di noi figli di Dio, membri della Famiglia di Dio, non dovrebbero dunque più esserci
odio, ingiustizie, guerre tra fratelli. Constatando lo sviluppo della violenza
e l’emergere dell’egoismo in Africa, il Cardinale Bernardin Gantin, di venerata memoria,
faceva appello, fin dal 1988, a una Teologia della Fraternità, come risposta al richiamo
pressante dei poveri e dei più piccoli (cfr L’Osservatore Romano, ed. francese, 12
aprile 1988, pp. 4-5). Gli tornava forse alla memoria ciò che scriveva l’africano
Lattanzio all’alba del IV secolo: “Il primo dovere della giustizia è riconoscere l’uomo
come un fratello. Infatti, se lo stesso Dio ci ha fatti e ci ha generati tutti nella
stessa condizione, in vista della giustizia e della vita eterna, noi siamo sicuramente
uniti da legami di fraternità: chi non li riconosce è ingiusto” (Epitomé des Intitutions
Divines, 54, 4-5: SC 335, p. 210). La Chiesa-Famiglia di Dio che è in Africa, già
dalla Prima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi ha realizzato un’opzione preferenziale
per i poveri. Essa manifesta così che la situazione di disumanizzazione e di oppressione
che affligge i popoli africani non è irreversibile; al contrario, essa pone ciascuno
di fronte ad una sfida, quella della conversione, della santità e dell’integrità. Il
Figlio, mediante il quale Dio ci parla, è Lui stesso Parola fatta carne. Ciò è stato
l’oggetto delle riflessioni della recente XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo
dei Vescovi. Diventata carne, questa Parola è all’origine di ciò che noi siamo e facciamo;
è il fondamento di ogni vita. E’ dunque a partire da questa Parola che bisogna valorizzare
le tradizioni africane, correggere e perfezionare la loro concezione della vita, dell’uomo
e della famiglia. Gesù Cristo, Parola di vita, è sorgente e compimento di tutte le
nostre vite, perché il Signore Gesù è l’unico mediatore e redentore. E’
urgente che le comunità cristiane diventino sempre più luoghi di ascolto profondo
della Parola di Dio e di lettura meditativa della Sacra Scrittura. E’ attraverso questa
lettura meditativa e comunitaria nella Chiesa che il cristiano incontra Cristo risorto
che gli parla e gli ridona speranza nella pienezza di vita che Egli offre al mondo. Quanto
all’Eucaristia, essa rende il Signore realmente presente nella storia. Mediante la
realtà del suo Corpo e del suo Sangue, il Cristo tutto intero si rende sostanzialmente
presente nelle nostre vite. E’ con noi tutti i giorni fino alla fine dei tempi (cfr
Mt 28,20) e ci rimanda allenostre realtà quotidiane affinché possiamo riempirle
della sua presenza. Nell’Eucaristia, è messo chiaramente in evidenza che la vita è
una relazione di comunione con Dio, con i nostri fratelli e le nostre sorelle, e con
l’intera creazione. L’Eucaristia è sorgente di unità riconciliata nella pace. La
Parola e il Pane di vita offrono luce e nutrimento, come antidoto e viatico nella
fedeltà al Maestro e Pastore delle nostre anime, perché la Chiesa in Africa realizzi
il servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, secondo il programma
di vita dato dal Signore stesso: “Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce
del mondo” (Mt 5,13.14). Per esserlo veramente, i fedeli devono convertirsi e seguire
Gesù Cristo, diventare suoi discepoli, per essere testimoni del suo potere salvifico.
Durante la sua vita terrena, Gesù era “potente in opere e parole” (Lc 24,19). Con
la sua risurrezione ha sottomesso ogni autorità e potere (cfr Col 2,15), ogni potenza
del male per rendere liberi quanti sono stati battezzati nel suo nome. “Cristo ci
ha liberati per la libertà!” (Gal 5,1). La vocazione cristiana consiste nel lasciarsi
liberare da Gesù Cristo. Egli ha vinto il peccato e la morte e offre a tutti la pienezza
della sua vita. Nel Signore Gesù non c’è più né giudeo né pagano, né uomo né donna
(cfr Gal 3,28). Nella sua carne Egli ha riconciliato tutti i popoli. Con la forza
dello Spirito Santo rivolgo a tutti questo appello: “Lasciatevi riconciliare!” (2
Cor 5,20). Nessuna differenza etnica o culturale, di razza, di sesso o di religione
deve divenire travoi motivo di contesa. Voi siete tutti figli dell’unico Dio,
nostro Padre, che è nei cieli. Con questa convinzione sarà finalmente possibile costruire
un’Africa più giusta e pacifica, all’altezza delle legittime attese di tutti i suoi
figli. Infine, vi invito a incoraggiare la preparazione dell’evento sinodale
recitando anche con i fedeli la preghiera che conclude l’Instrumentum laboris che
ho consegnato stamani, e ciò per la buona riuscita dell’Assemblea Sinodale. Preghiamo
ora insieme, cari Fratelli: “Santa Maria, Madre di Dio, Protettrice dell’Africa,
tu hai dato al mondo la luce vera, Gesù Cristo. Con la tua obbedienza al Padre e con
la grazia dello Spirito Santo ci hai donato la sorgente della nostra riconciliazione
e della nostra giustizia, Gesù Cristo, nostra pace e nostra gioia. Madre
di tenerezza e di sapienza, mostraci Gesù, Figlio tuo e Figlio di Dio, sostieni il
nostro cammino di conversione, affinché Gesù faccia brillare su di noi la sua Gloria
in ogni ambito della nostra vita personale, familiare e sociale. Madre
piena di Misericordia e di Giustizia, per la tua docilità allo Spirito Consolatore,
ottienici la grazia di essere testimoni del Signore Risorto, perché diventiamo sempre
più il sale della terra e la luce del mondo. Madre del Perpetuo Soccorso,
alla tua materna intercessione affidiamo la preparazione e i frutti del Secondo Sinodo
per l’Africa. Regina della Pace, prega per noi! Nostra Signora dell’Africa, prega
per noi!”.
Come testimoniato da Yaoundé, l’incontro di Benedetto XVI
col mondo della sofferenza è stato uno dei momenti più toccanti di questa tappa in
Camerun. Ce ne parla il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico
Lombardi, al seguito del Papa. L’intervista è sempre del nostro inviato Giancarlo
La Vella:
Altro
momento di incontro con il popolo e la Chiesa d’Africa è stato ieri mattina quello
della Santa Messa in occasione della pubblicazione dell’Instrumentum laboris della
II assemblea speciale del Sinodo dei vescovi africani. Sul documento, ascoltiamo da
Yoaundé padre Giulio Albanese: