Paternità spirituale e servizio fedele e gioioso al centro dell'omelia ai Vespri
Ieri pomeriggio il Papa ha presieduto i Vespri nella Basilica Maria Regina degli Apostoli
nel quartiere Mvolyé a Yaoundé. Ecco il testo integrale della sua omelia. Cari
Fratelli Cardinali e Vescovi, Cari Sacerdoti e Diaconi, cari fratelli e
sorelle consacrati, Cari amici membri delle altre Confessioni cristiane, Cari
fratelli e sorelle! Abbiamo la gioia di ritrovarci insieme
per rendere grazie a Dio in questa basilica dedicata a Maria Regina degli Apostoli
di Mvolyé, che è stata costruita sul luogo dove venne edificata la prima chiesa ad
opera dei missionari spiritani, venuti a portare la Buona Novella in Camerun. Come
l’ardore apostolico di questi uomini che racchiudevano nei loro cuori l’intero vostro
Paese, questo luogo porta in se stesso simbolicamente ogni piccola parte della vostra
terra. E’ perciò in una grande vicinanza spirituale con tutte le comunità cristiane
nelle quali esercitate il vostro servizio, cari fratelli e sorelle, che rivolgiamo
questa sera la nostra lode al Padre della luce. Alla presenza dei rappresentanti
delle altre Confessioni cristiane, a cui indirizzo il mio rispettoso e fraterno saluto,
vi propongo di contemplare i tratti caratteristici di san Giuseppe attraverso le parole
della Sacra Scrittura che ci offre questa liturgia vespertina. Alla folla
e ai suoi discepoli, Gesù dichiara: “Uno solo è il Padre vostro” (Mt 23,9). In effetti,
non vi è altra paternità che quella di Dio Padre, l’unico Creatore “del mondo visibile
ed invisibile”. E’ stato dato però all’uomo, creato ad immagine di Dio, di partecipare
all’unica paternità di Dio (cfr Ef 3,15). San Giuseppe manifesta ciò in maniera sorprendente,
lui che è padre senza aver esercitato una paternità carnale. Non è il padre biologico
di Gesù, del quale Dio solo è il Padre, e tuttavia egli esercita una paternità piena
e intera. Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita.
San Giuseppe ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione. Per Cristo
ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi
in luogo diverso dal suo villaggio. La sua sola ricompensa fu quella di essere con
Cristo. Questa disponibilità spiega le parole di san Paolo: “Servite il Signore che
è Cristo!” (Col 3,24). Si tratta di non essere un servitore mediocre, ma
di essere un servitore “fedele e saggio”. L’abbinamento dei due aggettivi non casuale:
esso suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza
sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente
la responsabilità che Dio ci affida. Cari fratelli sacerdoti, questa paternità
voi dovete viverla nel vostro ministero quotidiano. In effetti, la Costituzione conciliare
Lumen gentium sottolinea: i sacerdoti “abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei
fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l’insegnamento” (n. 28).
Come allora non tornare continuamente alla radice del nostro sacerdozio, il Signore
Gesù Cristo? La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo
vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli
ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere (cfr Gv 15,15). Vivendo questa amicizia
profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore. Il sacerdozio
ministeriale comporta un legame profondo con Cristo che ci è donato nell’Eucaristia.
Che la celebrazione dell’Eucaristia sia veramente il centro della vostra vita sacerdotale,
allora essa sarà anche il centro della vostra missione ecclesiale. In effetti, per
tutta la nostra vita, il Cristo ci chiama a partecipare alla sua missione, a essere
testimoni, affinché la sua Parola possa essere annunciata a tutti. Celebrando questo
sacramento a nome e nella persona del Signore, non è la persona del prete che deve
essere posta in primo piano: egli è un servitore, un umile strumento che rimanda a
Cristo, poiché Cristo stesso si offre in sacrificio per la salvezza del mondo. “Chi
governa sia come colui che serve” (Lc 22,26), dice Gesù. Ed Origene scriveva: “Giuseppe
capiva che Gesù gli era superiore pur essendo sottomesso a lui in tutto e, conoscendo
la superiorità del suo inferiore, Giuseppe gli comandava con timore e misura. Che
ciascuno rifletta su questo: spesso un uomo di minor valore è posto al di sopra di
gente migliore di lui e a volte succede che l’inferiore ha più valore di colui che
sembra comandargli. Quando chi ha ricevuto una dignità comprende questo non si gonfierà
di orgoglio a motivo del suo rango più elevato, ma saprà che il suo inferiore può
essere migliore di lui, così come Gesù è stato sottomesso a Giuseppe” (Omelia su san
Luca XX,5, S.C. p. 287). Cari fratelli nel sacerdozio, il vostro ministero
pastorale richiede molte rinunce, ma è anche sorgente di gioia. In relazione confidente
con i vostri Vescovi, fraternamente uniti a tutto il presbiterio, e sostenuti dalla
porzione del Popolo di Dio che vi è affidata, voi saprete rispondere con fedeltà alla
chiamata che il Signore vi ha fatto un giorno, come egli ha chiamato Giuseppe a vegliare
su Maria e sul Bambino Gesù! Possiate rimanere fedeli, cari sacerdoti, alle promesse
che avete fatto a Dio davanti al vostro Vescovo e davanti all’assemblea. Il Successore
di Pietro vi ringrazia per il vostro generoso impegno al servizio della Chiesa e vi
incoraggia a non lasciarvi turbare dalle difficoltà del cammino! Ai giovani che si
preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei
ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio
e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un “sì” generoso a Cristo! Invito
anche voi, fratelli e sorelle che vi siete impegnati nella vita consacrata o nei movimenti
ecclesiali, a rivolgere lo sguardo a san Giuseppe. Quando Maria riceve la visita dell’angelo
all’Annunciazione è già promessa sposa di Giuseppe. Indirizzandosi personalmente a
Maria, il Signore unisce quindi già intimamente Giuseppe al mistero dell’Incarnazione.
Questi ha accettato di legarsi a questa storia che Dio aveva iniziato a scrivere nel
seno della sua sposa. Egli ha quindi accolto in casa sua Maria. Ha accolto il mistero
che era in lei ed il mistero che era lei stessa. Egli l’ha amata con quel grande rispetto
che è il sigillo dell’amore autentico. San Giuseppe ci insegna che si può amare senza
possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere
portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto
che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come
Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie
a ciò che Dio aveva già fatto in lei. Possiate, cari fratelli e sorelle impegnati
nei movimenti ecclesiali, essere attenti a coloro che vi circondano e manifestare
il volto amorevole di Dio alle persone più umili, soprattutto mediante l’esercizio
delle opere di misericordia, l’educazione umana e cristiana dei giovani, il servizio
della promozione della donna ed in tanti altri modi! Il contributo spirituale
portato dalle persone consacrate è anch’esso assai significativo ed indispensabile
per la vita della Chiesa. Questa chiamata a seguire Cristo è un dono per l’intero
Popolo di Dio. In adesione alla vostra vocazione, imitando Cristo casto, povero ed
obbediente, totalmente consacrato alla gloria del Padre suo e all’amore dei suoi fratelli
e sorelle, voi avete per missione di testimoniare, davanti al nostro mondo che ne
ha molto bisogno, il primato di Dio e dei beni futuri (cfr Vita consecrata, n.85).
Con la vostra fedeltà senza riserve nei vostri impegni voi siete nella Chiesa un germe
di vita che cresce al servizio del Regno di Dio. In ogni momento, ma in modo particolare
quando la fedeltà è provata, san Giuseppe vi ricorda il senso e il valore dei vostri
impegni. La vita consacrata è una imitazione radicale di Cristo. E’ quindi necessario
che il vostro stile di vita esprima con precisione ciò che vi fa vivere e che la vostra
attività non nasconda la vostra profonda identità. Non abbiate paura di vivere pienamente
l’offerta di voi stessi che avete fatta a Dio e di darne testimonianza con autenticità
attorno a voi. Un esempio vi stimola particolarmente a ricercare questa santità di
vita, quello del Padre Simon Mpeke, chiamato Baba Simon. Voi sapete come “il missionario
dai piedi nudi” ha speso tutte le forze del suo essere in una umiltà disinteressata,
avendo a cuore di aiutare le anime, senza risparmiarsi le preoccupazioni e la pena
del servizio materiale dei suoi fratelli. Cari fratelli e sorelle, la nostra
meditazione sull’itinerario umano e spirituale di san Giuseppe, ci invita a cogliere
la misura di tutta la ricchezza della sua vocazione e del modello che egli resta per
tutti quelli e quelle che hanno voluto votare la loro esistenza a Cristo, nel sacerdozio
come nella vita consacrata o in diverse forme di impegno del laicato. Giuseppe ha
infatti vissuto alla luce del mistero dell’Incarnazione. Non solo con una prossimità
fisica, ma anche con l’attenzione del cuore. Giuseppe ci svela il segreto di una umanità
che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti
dell’esistenza. In lui non c’è separazione tra fede e azione. La sua fede orienta
in maniera decisiva le sue azioni. Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue
responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare
la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un “uomo giusto” (Mt 1,19) perché
la sua esistenza è “aggiustata” sulla parola di Dio. La vita di san Giuseppe,
trascorsa nell’obbedienza alla Parola, è un segno eloquente per tutti i discepoli
di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa. Il suo esempio ci sollecita a comprendere
che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore
efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia,
una sola assemblea, una sola ‘ecclesia’. Cari amici membri delle altre Confessioni
cristiane, questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande
sfida. Essa ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre
più attirare da Lui. E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno
stesso Padre. In questo anno consacrato all’Apostolo Paolo, il grande annunciatore
di Gesù Cristo, l’Apostolo delle Nazioni, rivolgiamoci insieme a lui per ascoltare
e apprendere “la fede e la verità” nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità
tra i discepoli di Cristo. Terminando, rivolgiamoci alla sposa di san
Giuseppe, la Vergine Maria, “Regina degli Apostoli”, perché questo è il titolo con
il quale ella è invocata come patrona del Camerun. A lei affido la consacrazione di
ciascuno e di ciascuna di voi, il vostro desiderio di rispondere più fedelmente alla
chiamata che vi è stata fatta e alla missione che vi è stata affidata. Invoco infine
la sua intercessione per il vostro bel Paese. Amen.