Thailandia: continua l'opera dei missionari nonostante la guerra civile
In Thailandia le violenze tra esercito e la guerriglia indipendentista islamica nelle
province di Narathiwat, Pattani e Yala stanno rendendo sempre difficile anche la presenza
della Chiesa in questa parte del Paese. A riferirlo all’agenzia Ucan sono gli unici
due sacerdoti presenti nella regione a maggioranza musulmana, il salesiano belga don
Gustav Roosens e padre Suksan Chaopaaknam. L'insurrezione separatista, guidata dal
Fronte Rivoluzionario Nazionale (BRN), è scoppiata nel 2004 e ha causato più di 3.300
vittime, tra soldati, poliziotti ed anche civili buddisti e musulmani. Anche l’esercito
governativo è implicato in gravi abusi contro i civili. Questo clima violenza e di
insicurezza - spiega don Roosens, che lavora come missionario in Thailandia da 53
anni, di cui 20 a Pattani - sta ostacolando l’opera pastorale. Oggi nelle tre province
sono rimasti appena 400 fedeli, distribuiti in due parrocchie. Gli altri sono fuggiti.
Per assisterli l’anziano missionario deve fare molti spostamenti che sono però rischiosi,
come evidenzia anche il giovane confratello padre Suksan Chaopaaknam che non nasconde
le sue paure: “Viaggio solo di giorno – spiega – perché ho paura e sono isolato dai
miei confratelli”. L'indipendentismo islamico nelle province musulmane del sud, abitate
da popolazione di origine malese, è un fenomeno che risale al 1786, quando il Regno
buddista del Siam, l'antico nome della Thailandia, conquistò queste regioni, ponendo
fine a secoli di indipendenza del Sultanato Islamico di Pattani, che comprendeva le
attuali province al confine con la Malesia. (L.Z.)