Camerun e Angola si preparano ad accogliere l’abbraccio di Benedetto XVI, nella sua
prima visita pastorale nel continente africano
Due giorni di attesa e di ultimi preparativi separano il Papa dall’Africa. Martedì
prossimo, Benedetto XVI decollerà alla volta del Camerun, quindi venerdì si trasferirà
in Angola, per concludere lunedì 23 marzo la sua prima visita pastorale nel continente.
A Yaoundé, capitale del Camerun, si intensificano gli incontri di preghiera, preludio
all’abbraccio che la Chiesa locale e non solo è pronta a dedicare al Papa. Ne parla
l’arcivescovo Eliseo Antonio Ariotti, nunzio apostolico in Camerun, al microfono
di Giancarlo La Vella:
R. - E’
stata anzitutto una preparazione spirituale, una preparazione anche culturale. Spiritualmente,
in tutte le diocesi, si è fatta tanta preghiera, tanti incontri, tante novene, come
sono abituati in questa Chiesa piena di fede. Culturalmente, l’Università Cattolica
dell’Africa Centrale e l’Istituto Cattolico di Teologia hanno organizzato un incontro
per presentare la figura di Benedetto XVI in tutta la sua ampiezza. La Commissione
della Conferenza Episcopale ha già tantissime richieste per la Messa che si terrà
giovedì 19 marzo, festa di San Giuseppe. Stanno facendo di tutto per potere accogliere
così tante richieste. D. - Come si può definire oggi il Camerun,
uno dei Paesi che più di ogni altro forse rappresenta l’Africa intera? R.
- In Camerun abbiamo una composizione sia etnica, sia culturale che sociale e politica
che, in un certo senso, riproduce un poco tutto l’ambiente dell’Africa, tutto il continente.
La visita del Santo Padre è un momento in cui l’Africa, non solo si interroga, ma
cerca di impegnarsi sui valori che il Santo Padre testimonia in tutto il mondo. Il
Camerun vuole dare l’esempio per essere un Paese di giustizia, un Paese di pace, di
accoglienza, un Paese in cui si possano vivere i valori morali, civili, religiosi
al meglio di quello che si può vivere in un continente che ha tante difficoltà. D.
– E’ la terza volta che il Camerun incontra un Pontefice. Che cosa è rimasto nel Paese
dei due precedenti incontri con Giovanni Paolo II? R. – Tutti
si rendono conto che quelle visite furono visite pastorali. La prima, del 1985, toccò
quattro grandi arcidiocesi e aveva toccato tutto il mistero della Chiesa. Nel 1995,
invece, era stato il momento in cui Giovanni Paolo II aveva consegnato il documento
“Ecclesia in Africa”, che si impegnava in tutti gli ambiti della società e della vita
ecclesiale. Oggi, la gente si rende conto che da quel momento ricomincia una nuova
riflessione, ricomincia un nuovo impegno, e sarà quello che porterà Benedetto XVI:
sarà questo messaggio della Chiesa che è strumento di riconciliazione, di giustizia
e di pace, strumento di riconciliazione innanzitutto, ma da un punto di vista sacramentale.
Bisogna far breccia nel cuore della persona umana, nella vita della persona, attraverso
il sacramento della riconciliazione, che è Cristo stesso. Quindi, una continuità nei
viaggi pastorali di Giovanni Paolo II e nel viaggio apostolico di Benedetto XVI. D.
– Che cosa vuole dire l’Africa a Papa Benedetto XVI che viene ad incontrarla? R.
– Io penso che l’Africa voglia dire al Santo Padre che è pronta per questa evangelizzazione,
ma ha bisogno ancora di tanto aiuto. Ha bisogno ancora di essere aiutata a ritrovare
il vero volto di Cristo, il vero volto della Chiesa, la purezza della vita della Chiesa.
Quindi, è consapevole l’Africa di essere ancora giovane nella sua marcia di fede:
è consapevole, ma vuole comunque dare il meglio di se stessa sia nell’ambito dei fedeli,
del laicato, sia nell’ambito del clero, nell’ambito ecclesiale, nell’ambito sociale.(Montaggio
a cura di Maria Brigini) Analogo fermento si respira a Luanda, la
capitale dell’Angola, dove Benedetto XVI incontrerà la popolazione di un Paese che
da pochi anni ha ritrovato una certa stabilità interna, dopo il sangue e i lutti di
una grave guerra civile. L’arcivescovo Giovanni Angelo Becciu, nunzio apostolico
nel Paese, rievoca al microfono di Beata Julia Zajaczkowska, della
redazione polacca della nostra emittente, l’evoluzione della situazione angolana tra
la visita di Papa Wojtyla, nel giugno del ’92, e quella imminente di Benedetto XVI:
R. – Quando
venne Giovanni Paolo II fu un periodo particolare. Direi che la sua visita fu un barlume
di speranza, perché si era appena fatta la pace e il suo grido fu “mai più la guerra”.
Infelicemente non fu ascoltato e il Paese cadde in un baratro terribile, ancora più
terribile della prima fase, per cui fu un momento di grande speranza, ma che durò
poco, infelicemente. D. – Adesso, invece, sono già sette anni,
da quando fu posta la firma della pace, e la gente sta assaporando i benefici. Ne
sta godendo anche la Chiesa, perché sono state riaperte tantissime missioni e avviata
una fase di ricostruzione. Direi che questo è un momento propizio e favorevole che
la Chiesa angolana non ha mai avuto. Quando con l’indipendenza è iniziato il periodo
della speranza, fu una speranza che durò poco, perché l’indipendenza si trasformò
in una grande bufera per la Chiesa stessa - persecuzioni di tutti i generi, confische
dei beni – e quindi la Chiesa non ebbe la libertà di manifestare se stessa. Adesso
è un momento favorevole, perché adesso può dire che cosa è la Chiesa angolana. D.
– Quali sono adesso le più grandi sfide che deve affrontare la Chiesa in Angola? R.
– Prima di tutto, la sfida è quella di ampliare il suo raggio di azione. Vi sono zone
soprattutto dell’est, ancora non toccate dall’annuncio evangelico. Altra sfida, la
vedrei soprattutto nella capitale e nelle città di provincia in cui si è affacciata
la modernità - nel senso di edonismo, consumismo, relativismo morale - mali che conosciamo
nel mondo occidentale e che si sono già affacciati qua. Insomma, non è l’Africa lontana
dalle problematiche moderne. E poi, il boom economico che sta avendo l’Angola, in
questo tempo, influisce sul desiderio di migliorare le proprie condizioni sociali,
ma in molti è apparsa la cupidigia, la sfrenatezza, il desiderio di avere subito e
a qualunque costo denaro facile. Tutte queste sono sfide per la Chiesa, per presentare
i veri valori del cristianesimo. Poi, un’altra sfida è consolidare l’impegno sacerdotale,
l’impegno autentico dei nostri sacerdoti. I sacerdoti devono tenere alto il desiderio
della testimonianza evangelica. D. – La gente comune che cosa
si aspetta dalle parole del Santo Padre? R. – Loro vedono l’uomo
di Dio. “Seremos abençoados”, dicono: “Saremo benedetti”. Sanno che quest’uomo porterà
la benedizione. Questo basta, ma è chiaro che le parole che rivolgerà il Papa saranno
parole di speranza, saranno parole di incoraggiamento e saranno parole che li confermerà
nella fede. La Chiesa ne avrà da trarre grandissimo vantaggio spirituale, morale,
tutto quello che comporta una visita di un Papa. E’ un momento di grazia speciale.
Tutti ne godono. Si diffonde in tutti i volti serenità e i cristiani ne traggono un
nuovo entusiasmo. Quindi, va tutto a beneficio della Chiesa e del Paese stesso.(Montaggio
a cura di Maria Brigini)