Gesuita birmano denuncia: il Myanmar sacrificato agli interessi economici
Il silenzio della comunità internazionale sul dramma che si consuma ogni giorno in
Myanmar è “vergognoso”. Anche l’India mostra interesse “solo per le risorse economiche
e commerciali” e non fa alcun accenno “ai diritti umani”, che liquida come “una questione
interna”. Il risultato è che la dittatura militare “si gode tutti i privilegi” e la
popolazione “continua a soffrire”. È la denuncia di padre Cyril, sacerdote gesuita
della provincia di Madurai, nel sud dell’India, nato e vissuto per oltre 10 anni in
Myanmar. La denuncia del religioso - riferisce l'agenzia AsiaNews - coincide con la
giornata per i diritti umani nella ex-Birmania, che si celebra oggi: attivisti hanno
lanciato una campagna di raccolta firme per chiedere la liberazione di Aung San Suu
Kyi e degli oltre 2100 prigionieri politici richiusi nelle carceri del Paese. Padre
Cyril spiega che la campagna “è un buon segno” e può essere utile per “risvegliare
le coscienze nella comunità internazionale”, ma “non sortirà alcun effetto in Myanmar:
il governo vigila e chiunque firmerà andrà incontro ad arresti, torture, persecuzioni”.
“In Myanmar – denuncia il sacerdote – vi è una violazione totale dei diritti umani.
La giunta militare non garantisce una buona educazione e non crea opportunità di lavoro
per i cittadini. Non vi sono libertà; anche la libertà religiosa subisce pesanti restrizioni.
Non c’è libertà di spostamento, le persone sono sorvegliate, messe in prigione se
sospettate di attività anti-governative e torturate in maniera disumana”. Padre Cyril
ha visitato il Myanmar nei mesi successivi alla tragedia di Nargis, che il 2 maggio
dello scorso anno ha causato la morte di circa 140mila persone, lavorando per quattro
mesi a contatto con gli sfollati. Si calcola che oltre 2,4 milioni di birmani abbiano
riportato danni di varia entità e siano ancora in attesa di aiuti. Il gesuita denuncia
“gli ostacoli” creati dalla dittatura militare che “non tollera interventi esterni”.
“Cercavamo di aiutare le persone che avevano perso tutto a causa del ciclone. Fornivamo
loro cibo, aiuti, una casa, ma il governo lo impediva. Tra le persone resta comunque
la voglia di lottare, di liberarsi di una tirannia che opprime”. (R.P.)