2009-03-13 12:41:38

Gesuita birmano denuncia: il Myanmar sacrificato agli interessi economici


Il silenzio della comunità internazionale sul dramma che si consuma ogni giorno in Myanmar è “vergognoso”. Anche l’India mostra interesse “solo per le risorse economiche e commerciali” e non fa alcun accenno “ai diritti umani”, che liquida come “una questione interna”. Il risultato è che la dittatura militare “si gode tutti i privilegi” e la popolazione “continua a soffrire”. È la denuncia di padre Cyril, sacerdote gesuita della provincia di Madurai, nel sud dell’India, nato e vissuto per oltre 10 anni in Myanmar. La denuncia del religioso - riferisce l'agenzia AsiaNews - coincide con la giornata per i diritti umani nella ex-Birmania, che si celebra oggi: attivisti hanno lanciato una campagna di raccolta firme per chiedere la liberazione di Aung San Suu Kyi e degli oltre 2100 prigionieri politici richiusi nelle carceri del Paese. Padre Cyril spiega che la campagna “è un buon segno” e può essere utile per “risvegliare le coscienze nella comunità internazionale”, ma “non sortirà alcun effetto in Myanmar: il governo vigila e chiunque firmerà andrà incontro ad arresti, torture, persecuzioni”. “In Myanmar – denuncia il sacerdote – vi è una violazione totale dei diritti umani. La giunta militare non garantisce una buona educazione e non crea opportunità di lavoro per i cittadini. Non vi sono libertà; anche la libertà religiosa subisce pesanti restrizioni. Non c’è libertà di spostamento, le persone sono sorvegliate, messe in prigione se sospettate di attività anti-governative e torturate in maniera disumana”. Padre Cyril ha visitato il Myanmar nei mesi successivi alla tragedia di Nargis, che il 2 maggio dello scorso anno ha causato la morte di circa 140mila persone, lavorando per quattro mesi a contatto con gli sfollati. Si calcola che oltre 2,4 milioni di birmani abbiano riportato danni di varia entità e siano ancora in attesa di aiuti. Il gesuita denuncia “gli ostacoli” creati dalla dittatura militare che “non tollera interventi esterni”. “Cercavamo di aiutare le persone che avevano perso tutto a causa del ciclone. Fornivamo loro cibo, aiuti, una casa, ma il governo lo impediva. Tra le persone resta comunque la voglia di lottare, di liberarsi di una tirannia che opprime”. (R.P.)







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