Il cardinale Erdő: un momento di grazia il pellegrinaggio in Turchia dei vescovi del
Sud-Est Europa
Si è svolto in questi giorni il IX Incontro dei presidenti delle Conferenze episcopali
del Sud-Est Europa sul tema “Identità cristiana in un mondo multiculturale e multietnico”.
Quest’anno, in occasione dell’Anno Paolino, l’evento ha avuto la forma del pellegrinaggio
in Turchia. I partecipanti hanno voluto incontrare le comunità cristiane di questo
Paese, “oggi tanto sofferenti” a causa del mancato riconoscimento giuridico. Una situazione
che ha come conseguenza una forte restrizione dell’autonomia di gestione delle comunità
religiose negli ambiti non soltanto amministrativi ed economici ma anche pastorali
e spirituali. I presuli europei chiedono alla Turchia di non riconoscere soltanto
la mera “libertà di culto” ma di garantire una vera e propria “libertà religiosa”.
D’altra parte, durante l’incontro (cui hanno preso parte i vescovi di otto Conferenze
episcopali: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Grecia, Moldavia, Romania, Turchia
e la Conferenza episcopale internazionale Santi Cirillo e Metodio) è stato messo in
luce che in questi Paesi del Sud-Est Europa l’identità cristiana è compromessa dall’ateismo
passato, dal laicismo attuale e dal consumismo che incalza e che sta deteriorando
il già fragile tessuto sociale. Nel comunicato finale dell’incontro c’è un forte invito
alla speranza di fronte ad una umanità che sempre più vive senza aspettarsi nulla
da un futuro ultraterreno, sfociando spesso nella disperazione. Ma su questo evento
ascoltiamo uno dei partecipanti, il cardinale Péter Erdő, primate d’Ungheria
e presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, intervistato da Marta
Vertse:
R.
– E’ stato un momento di grazia, una profonda esperienza spirituale per tutti noi.
Abbiamo ricevuto dei suggerimenti per quanto riguarda il lavoro comune per promuovere
i valori cristiani, morali, e per identificare il metodo per affrontare le sfide del
nostro tempo.
D. – Eminenza, quali sono i punti
salienti del comunicato finale dell'incontro?
R.
- Abbiamo sottolineato, proprio in base alle testimonianze dei vescovi della regione,
che la base della nostra identità non è soltanto una eredità culturale, una coesione
etnica di diversi popoli con la tradizione cristiana, ma che il vero centro della
nostra identità è la persona di Cristo e, quindi, abbiamo il dovere di trasmettere
la nostra fede perché senza di questo non conserviamo l’identità cristiana. Seguendo
l’esempio di San Paolo dobbiamo prendere atto della nostra realtà, della vita che
ci circonda, anche della distanza culturale e umana di molti ambienti dalla nostra
fede e tutto ciò viene però superato dall’amore cristiano e dalla verità di Cristo.
Abbiamo parlato anche della necessità di un insegnamento della fede più profonda,
di una catechesi migliore e anche della necessità di trattare con le autorità civili
che guidano queste società per avere le possibilità dell’esercizio della nostra religione,
per avere la possibilità di svolgere la nostra missione. Alla fine del documento abbiamo
appoggiato la richiesta di mons. Padovese, presidente della Conferenza episcopale
della Turchia, che da tempo ha chiesto la possibilità che nella chiesa cristiana di
Tarso, che è attualmente un museo, sia concessa la possibilità di celebrare la liturgia
anche dopo il termine dell’Anno Paolino perché veramente si registra un flusso notevole
non tanto di turisti ma di pellegrini. (Montaggio a cura di Maria
Brigini)