Proteste in Sudan dopo il mandato di arresto per Bashir
"I veri criminali sono i leader di Stati Uniti e dei Peesi europei". A dichiararlo
il presidente sudanese Omar Bashir, che questa mattina si è unito ad una manifestazione
popolare di protesta, a Karthoum, contro il mandato di cattura emesso dalla Corte
Penale Internazionale per i crimini in Darfur. Bashir è incriminato per aver ordinato
una campagna di sterminio, stupro e saccheggio. Intanto la Cina ha protestato formalmente
all’Onu, chiedendo la sospensione del processo. Sulle possibili ripercussioni politiche
internazionali di questo mandato d’arresto Stefano Leszczynski ha intervistato
Vittorio Parsi, docente di relazioni internazionali all’Università cattolica
di Milano:
R. – Credo
che dal punto di vista del diritto internazionale sia giusto far valere questo principio
della responsabilità individuale, che poi si richiama al dovere di protezione, da
parte della comunità internazionale, anche delle popolazioni che vengono perseguitate
dai propri governanti. Dal punto di vista della soluzione politica, invece, questo
provocherà un irrigidimento del regime, ma non va dimenticato che proprio dal punto
di vista politico questo indebolirà la figura del presidente, quindi lo esporrà ad
una minaccia interna da parte dei circoli di potere che, fino a questo momento, lo
hanno appoggiato e che ora potrebbero trovare più conveniente rovesciarlo. D.
– Si ha l’impressione che il diritto penale internazionale applichi talora il criterio
dei “due pesi e due misure”, in base a quelli che sono gli interessi politici? R.
– Faremmo un pessimo servizio al diritto se pensassimo che o riusciamo sempre ad applicarlo
oppure è meglio che non ci sia. Non è così: il diritto si afferma passo dopo passo
e ogni passo che viene compiuto in quella direzione, è un fatto positivo. Voi ricorderete
che a proposito della Jugoslavia ai tempi di Milosevic quando vennero avanzate accuse
a quel Paese sembrò una cosa folle. Ma in seguito, quelle accuse indebolirono lo stesso
presidente Milosevic. Il suscitare scandalo, nel breve periodo, complicherà la situazione
politica, ma varierà il bilancio dei costi tra le soluzioni politiche di mantenimento
e le soluzioni politiche di cambiamento e questa è una cosa importante. D.
– A livello internazionale, resta comunque l’incognita, ancora, del Consiglio di Sicurezza,
l’unico organismo che può fermare l’azione della Corte Penale e del quale fa parte
la Cina, vicina al Sudan… R. – Sì, del Consiglio di Sicurezza
fanno parte anche gli Stati Uniti che non hanno mai riconosciuto la Corte, quindi
questo, in qualche modo, rende anche l’azione americana politicamente più debole,
perché, premere affinché venga attuata una sentenza del Tribunale di cui si rifiuta
la legittimità, è quasi un non senso. Poi, non aderiscono a questo Tribunale, neanche
la Cina e la Russia che sono sostenitori del Sudan. Però, ogni argomento che utilizziamo
per mettere in evidenza le discrasie, le contraddizioni, i limiti del sistema, se
va nella direzione giusta dell’affermazione dei diritti universali dell’uomo, del
fatto che i confini non possono rappresentare uno scudo assoluto a comportamenti ripetuti
per anni su scala industriale, condannabili dal punto di vista etico e giuridico,
questa è una cosa che, secondo me, contribuisce a costruire un mondo diverso e auspicabilmente
migliore. E’ una lunga strada ma se non s’inizia, come dicono i francesi, non si finisce.