Prime meditazioni quaresimali del cardinale Arinze al Papa e alla Curia. Sull'importanza
degli esercizi spirituali la riflessione di padre Scicolone
Con la celebrazione dei Vespri di ieri pomeriggio, Benedetto XVI e la Curia Romana
sono entrati nella tradizionale Settimana di esercizi spirituali della Quaresima,
durante la quale udienze papali e attività sono sospese. Il cardinale Francis Arinze,
prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti,
ha tenuto ieri la meditazione di apertura dal titolo “Accettare l’invito di Gesù di
seguirlo e restare con lui”: tema poi sviluppato nella seconda e terza riflessione
di questa mattina. Il silenzio interiore e il distacco dalle occupazioni quotidiane
sono elementi fondamentali di ogni “ritiro” spirituale, che mira a creare le condizioni
per un ascolto profondo della Parola di Dio. Lo conferma padre Ildebrando Scicolone,
monaco benedettino e professore di Liturgia al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma,
intervistato da Alessandro De Carolis:
R. - Per
ascoltare Dio che parla nel silenzio, bisogna fare silenzio, questo è chiaro. Perché
se uno è distratto da tante cose, non può sentire la voce interiore e riflettere profondamente
su quello che è il suo essere, nel suo rapporto con Dio. Ecco perché si dice che devono
essere giorni di silenzio, possibilmente di solitudine, anzi si parla proprio di “deserto”,
nel senso che non ci devono essere distrazioni né esterne, né interiori. In quel periodo,
uno si estrania da quello che fa normalmente e segue la Parola di Gesù: “Venite in
disparte e riposatevi un poco”, non per riposarsi nel senso di non far niente, ma
per dedicarsi alla contemplazione delle cose di Dio. D. - Parlando
ai parroci di Roma, qualche giorno fa, Benedetto XVI ha detto che le persone vanno
dal pastore di anime “senza maschere”. Anche il ritiro spirituale è un modo di porsi
senza maschera davanti alla propria anima… R. - Questo è l’aspetto
principale. In quel periodo, ognuno dovrebbe scoprire qual è la verità su di sé: non
tanto la verità che dice di essere, ma la verità effettiva. Se uno davanti al Signore
si riconosce per quello che è, deve far cadere la maschera. Però è anche vero che
poi deve essere coerente e vivere secondo la verità. San Paolo diceva: “Facendo la
verità nella carità”, non “dicendo la verità” ma “essendo veri”. Noi, tante volte,
siamo presi da compromessi, da prudenza - come spesso la chiamiamo - da diplomazia.
Invece, nella settimana di esercizi uno si mette davanti a Dio così com’è. E’ un impegno
ad essere più autentici, più veri. D. - Un erroneo modo di vedere,
ma duro a morire, considera la Quaresima un periodo triste. Come è possibile insegnare
che la gioia - che è un elemento centrale di un cristianesimo autenticamente vissuto
- è un “ingrediente”, per così dire, tipico anche della Quaresima? R.
- Gesù ha predicato sempre la penitenza, non nel senso di fare penitenza ma di pentirsi,
cioè di convertirsi. Non ha mai predicato la tristezza, anzi, ha annunciato la gioia:
“Vi porto la gioia”. Io sono un Benedettino e San Benedetto ha scritto un capitolo
sulla Quaresima dove dice: “Nella gioia dello Spirito Santo, aspetti la Santa Pasqua”.
Questa deve essere la caratteristica anche della Quaresima. Quando Gesù, al primo
giorno di Quaresima ci ha detto: “Quando voi digiunate, lavatevi il viso, profumati
il volto perché la gente non sappia”, significa che bisogna viverlo con gioia questo
impegno di conversione, e non con tristezza. Purtroppo, nel secondo millennio, del
cristianesimo ne abbiamo fatto quasi una religione di passione, di morte, di mortificazione,
di penitenza. Bisognerebbe far capire che noi ci prepariamo a “risorgere”, ci prepariamo
alla nostra Pasqua: la Veglia pasquale non è solo la resurrezione di Cristo, che celebriamo
peraltro ogni domenica, ma è il ricordo forte della nostra risurrezione in Cristo. D.
- Lei predica esercizi spirituali da tanti anni. Quale esperienza ne ha maturato? R.
- Io, che sono un monaco, penso agli esercizi come ad una lectio divina, cioè come
un contemplare, gioiosamente, quelle meraviglie che il Signore ha fatto nella storia
della salvezza e nella storia personale di ognuno. Leggendo la Scrittura viene fuori
questo respiro, perché alla luce di Dio uno capisce qual è il senso della sua vita,
qual è il senso della storia. Poi, il nostro modo di vivere è semplicemente una risposta
di amore a quest’amore di Dio che abbiamo riscoperto e vedo che è incoraggiante, è
apertura, è un respiro di aria pura. Questo dovrebbero essere gli esercizi.