2009-03-02 14:12:26

Prime meditazioni quaresimali del cardinale Arinze al Papa e alla Curia. Sull'importanza degli esercizi spirituali la riflessione di padre Scicolone


Con la celebrazione dei Vespri di ieri pomeriggio, Benedetto XVI e la Curia Romana sono entrati nella tradizionale Settimana di esercizi spirituali della Quaresima, durante la quale udienze papali e attività sono sospese. Il cardinale Francis Arinze, prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha tenuto ieri la meditazione di apertura dal titolo “Accettare l’invito di Gesù di seguirlo e restare con lui”: tema poi sviluppato nella seconda e terza riflessione di questa mattina. Il silenzio interiore e il distacco dalle occupazioni quotidiane sono elementi fondamentali di ogni “ritiro” spirituale, che mira a creare le condizioni per un ascolto profondo della Parola di Dio. Lo conferma padre Ildebrando Scicolone, monaco benedettino e professore di Liturgia al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma, intervistato da Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

R. - Per ascoltare Dio che parla nel silenzio, bisogna fare silenzio, questo è chiaro. Perché se uno è distratto da tante cose, non può sentire la voce interiore e riflettere profondamente su quello che è il suo essere, nel suo rapporto con Dio. Ecco perché si dice che devono essere giorni di silenzio, possibilmente di solitudine, anzi si parla proprio di “deserto”, nel senso che non ci devono essere distrazioni né esterne, né interiori. In quel periodo, uno si estrania da quello che fa normalmente e segue la Parola di Gesù: “Venite in disparte e riposatevi un poco”, non per riposarsi nel senso di non far niente, ma per dedicarsi alla contemplazione delle cose di Dio.
 
D. - Parlando ai parroci di Roma, qualche giorno fa, Benedetto XVI ha detto che le persone vanno dal pastore di anime “senza maschere”. Anche il ritiro spirituale è un modo di porsi senza maschera davanti alla propria anima…
 
R. - Questo è l’aspetto principale. In quel periodo, ognuno dovrebbe scoprire qual è la verità su di sé: non tanto la verità che dice di essere, ma la verità effettiva. Se uno davanti al Signore si riconosce per quello che è, deve far cadere la maschera. Però è anche vero che poi deve essere coerente e vivere secondo la verità. San Paolo diceva: “Facendo la verità nella carità”, non “dicendo la verità” ma “essendo veri”. Noi, tante volte, siamo presi da compromessi, da prudenza - come spesso la chiamiamo - da diplomazia. Invece, nella settimana di esercizi uno si mette davanti a Dio così com’è. E’ un impegno ad essere più autentici, più veri.
 
D. - Un erroneo modo di vedere, ma duro a morire, considera la Quaresima un periodo triste. Come è possibile insegnare che la gioia - che è un elemento centrale di un cristianesimo autenticamente vissuto - è un “ingrediente”, per così dire, tipico anche della Quaresima?
 
R. - Gesù ha predicato sempre la penitenza, non nel senso di fare penitenza ma di pentirsi, cioè di convertirsi. Non ha mai predicato la tristezza, anzi, ha annunciato la gioia: “Vi porto la gioia”. Io sono un Benedettino e San Benedetto ha scritto un capitolo sulla Quaresima dove dice: “Nella gioia dello Spirito Santo, aspetti la Santa Pasqua”. Questa deve essere la caratteristica anche della Quaresima. Quando Gesù, al primo giorno di Quaresima ci ha detto: “Quando voi digiunate, lavatevi il viso, profumati il volto perché la gente non sappia”, significa che bisogna viverlo con gioia questo impegno di conversione, e non con tristezza. Purtroppo, nel secondo millennio, del cristianesimo ne abbiamo fatto quasi una religione di passione, di morte, di mortificazione, di penitenza. Bisognerebbe far capire che noi ci prepariamo a “risorgere”, ci prepariamo alla nostra Pasqua: la Veglia pasquale non è solo la resurrezione di Cristo, che celebriamo peraltro ogni domenica, ma è il ricordo forte della nostra risurrezione in Cristo.
 
D. - Lei predica esercizi spirituali da tanti anni. Quale esperienza ne ha maturato?
 
R. - Io, che sono un monaco, penso agli esercizi come ad una lectio divina, cioè come un contemplare, gioiosamente, quelle meraviglie che il Signore ha fatto nella storia della salvezza e nella storia personale di ognuno. Leggendo la Scrittura viene fuori questo respiro, perché alla luce di Dio uno capisce qual è il senso della sua vita, qual è il senso della storia. Poi, il nostro modo di vivere è semplicemente una risposta di amore a quest’amore di Dio che abbiamo riscoperto e vedo che è incoraggiante, è apertura, è un respiro di aria pura. Questo dovrebbero essere gli esercizi.







All the contents on this site are copyrighted ©.