La poesia radicata nel cuore romano: padre Zappatore racconta il suo sonetto al Papa
“E’ molto bello sentir parlare un po’ in romanesco e sentire che la poesia è profondamente
radicata nel cuore romano”: con queste parole, Benedetto XVI ha ringraziato il padre
carmelitano Lucio Maria Zappatore che, giovedì scorso durante l’incontro con
il clero romano, ha recitato un sonetto dedicato alla prossima visita del Papa in
Campidoglio. In questa intervista di Luca Collodi, introdotta dalla poesia,
padre Zappatore – parroco di Santa Maria Regina Mundi, nel quartiere di Torrespaccata
- racconta la sua passione per la rima in romanesco e il suo essere sacerdote nella
Città Eterna:
"Er Papa
che salisce ar Campidojo è un fatto che te lassa senza fiato, perché
‘sta vorta sòrte for dar sojo, pe creanza che tiè ‘n bon vicinato.
Er
Sindaco e la giunta con orgojo jànno fatto ‘n invito, er più accorato, perchè
Roma, se sà, vojo o nun vojo, nun po’ fà propio a meno der papato.
Roma,
tu ciài avuto drento ar petto la forza pe portà la civirtà. Quanno
Pietro t’ha messo lo zucchetto, eterna Dio t’ha fatto addiventà. Accoji
allora er Papa Benedetto che sale a benedìtte e a ringrazià!" D.
– Padre Lucio, questo è il sonetto che lei, giovedì scorso, ha dedicato a Papa Benedetto.
Come nasce questa sua vena poetica?
R. – La mia vena
poetica è nata con la morte di Papa Giovanni Paolo II. Ho cominciato a scrivere delle
poesie per lui e da quel momento non ho smesso più.
D.
– Secondo lei, oggi è possibile fare una liturgia in romanesco?
R.
– No. Una domanda che mi hanno fatto è se nelle prediche io adopero il romanesco:
proprio in maniera del tutto eccezionale. Il Belli si rifiutò di mettere il Vangelo
in romanesco perché non lo riteneva adatto. (Montaggio a cura di Maria Brigini)