2009-02-27 15:12:25

Tavola rotonda a Roma su “Chiesa e comunicazione nell’Anno Paolino”


“Per accorciare la distanza tra la fede e la notizia che ne potrebbe scaturire, servono la testimonianza, la professionalità e la competenza”. Così don Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) per le comunicazioni sociali, ha introdotto l’incontro su “Chiesa e comunicazione nell'Anno Paolino”, promosso congiuntamente dall’Ufficio per le comunicazioni sociali e dal Servizio per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana e tenutosi ieri a Roma. Secondo don Pompili la realtà dell’informazione religiosa è condizionata da molti equivoci, quali la tendenza alla politicizzazione, con contrapposizioni tra progressisti e conservatori. Il direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali ha anche citato il cardinale Avery Dulles, deceduto lo scorso 12 dicembre: "Il contenuto principale della Chiesa - ha scritto il porporato - è un messaggio di fede, i media tendono invece alla ricerca di ciò che è spettacolare e scandalistico”. Per trovare una via dove la fede non cozza con la comunicazione, don Pompili ha suggerito di pensare alla “testimonianza come modo di esposizione attraverso i media” insieme a “professionalità e competenza”. In merito alla figura di San Paolo come grande comunicatore, il biblista Romano Penna ha precisato che l’Apostolo delle genti non era “uno scrittore per vocazione” e “se fosse vissuto oggi non sarebbe stato nemmeno un giornalista”. Il professor Penna ha rilevato come Paolo sia stato l’unico tra gli illustri maestri del primo secolo a lasciare documenti scritti. Fu costretto a scrivere dalla necessità di educare e formare la comunità cristiana. Le sue Lettere – ha aggiunto il biblista – “non erano dirette ad un unico soggetto, bensì ad una comunità di persone”. Alla tavola rotonda – rende noto l’agenzia Zenit - è intervenuto anche Igor Man, firma storica del giornalismo italiano, il quale ha raccontato diversi aneddoti vissuti in prima persona, come la guerra in Vietnam, il colpo di Stato in Sudan del 1975 dove rischiò di essere fucilato, o gli incontri con Madre Teresa e con Giovanni Paolo II. In particolare il cronista ha raccontato che durante una intervista, Che Guevara gli confidò di non essersi mai posto il problema di Dio: “Però se veramente esiste – disse – mi auguro che nel suo cuore ci sia posto anche per il comandante Ernesto Che Guevara”. Sul finire della tavola rotonda è intervenuto anche Gian Franco Svidercoschi, ex vice direttore de “L'Osservatore Romano”, il quale ha sottolineato come la banalizzazione e la distorsione degli interventi fatti dai Pontefici possa fare male all’informazione e all’opinione pubblica. (A.L.)







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