2009-02-27 15:30:09

Prospettive di accordo per un governo di unità nazionale palestinese


Primi segnali di schiarita tra forze politiche palestinesi. La mediazione egiziana ha portato ad un accordo - raggiunto ieri al Cairo, tra Hamas, Fatah e altri gruppi palestinesi - per la formazione di un governo di unità nazionale entro fine marzo. L’intesa prevede la creazione di cinque commissioni, che oltre a tentare di far nascere un nuovo esecutivo si occuperanno tra l’altro di preparare le prossime elezioni politiche e presidenziali in tutti i Territori. Sulla possibilità che l'accordo appena raggiunto possa davvero mettere fine a mesi di separazione tra la Cisgiordania, guidata dal presidente Abu Mazen, e la Striscia di Gaza, controllata da Hamas, Giada Aquilino ha intervistato Marcella Emiliani, docente di Storia del Medio Oriente all’Università di Bologna-Forlì:RealAudioMP3

R. - Il mediatore, leader dei servizi segreti egiziani, Suleiman, ha commentato questo accordo con una frase che, secondo me, spiega tutto: “Non hanno alternativa”. Ed vero. Al Cairo non c’erano solo Hamas e Fatah, ma circa una dozzina di altri gruppi palestinesi, quindi tutte le possibili espressioni della politica palestinese vi sono rappresentate. Il punto più importante che dovranno risolvere - quello che li ha portati in rotta di collisione gli uni con gli altri per formare un governo di unità nazionale - sarà fondere gli apparati di sicurezza, soprattutto quelli di Hamas e di Fatah, e dunque non avere più questi schieramenti armati gli uni contro gli altri. Dopo di che, sulle linee politiche di fondo il problema non è affatto risolto, perché mentre Fatah ha riconosciuto Israele, Hamas no.

 
D. - L’avvicinarsi della Conferenza di marzo in Egitto, quando scenderanno in campo i Paesi donatori per la ricostruzione a Gaza, può avere accelerato questo accordo?

 
R. - Assolutamente sì, nel senso che il 2 marzo si riuniranno i principali donatori: devono mettere a disposizione una cifra che va dai due ai 2,8 miliardi di dollari, ma questo non è un problema. La cosa importante è che se Hamas ha accettato di entrare in un governo di unità nazionale, l’ha fatto anche perché possano arrivare gli aiuti. Nessuno era disponibile a trattare direttamente con Hamas, nessuno voleva che i soldi della ricostruzione andassero ad Hamas. Ora che però si prospetta un governo di unità, evidentemente, anche l’inserimento graduale di Hamas in istituzioni riconosciute, può facilitare le cose.

 
D. - Un’intesa che invece ancora non è stata raggiunta è quella di un cessate-il-fuoco duraturo a Gaza, tra Israele e Hamas. Come può evolvere la vicenda?

 
R. - Naturalmente, la prima cosa che dovrà fare un governo ad interim, se verrà messo in piedi, sarà quella di garantire che nessun razzo cada più su Israele.

 
Iraq
Continua a salire il numero delle vittime subite dagli Stati Uniti in Iraq dal marzo 2003. È quanto fa sapere il comando statunitense. Si parla di 4.252 caduti, tra cui sette dipendenti civili del Pentagono, da quando ebbe inizio la guerra per rovesciare il regime dittatoriale di Saddam Hussein. Dall'inizio del mese ammontano già a quattordici i militari americani uccisi nel Paese arabo, ai quali va aggiunto un altro facente parte del contingente britannico. Intanto, c’è da registrare l’arrivo del presidente iracheno Jalal Talabani a Teheran per una visita di tre giorni durante la quale incontrerà l’omologo iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Durante l’incontro Teheran, chiederà l’espulsione dall’Iraq del gruppo locale di opposizione iraniana dei Mujahidin del popolo.

Pakistan
Migliaia di persone sono scese in strada in tutto il Pakistan per manifestare contro il presidente, Asif Ali Zardari, dopo la decisione della Corte Suprema di impedire al principale leader dell'opposizione, Nawaz Sharif, di candidarsi alle prossime elezioni e di avere incarichi politici. Ieri, la polizia ha arrestato 30 parlamentari negli scontri verificatisi a Lahore e Rawalpindi. E sempre in Pakistan, nella provincia nord-occidentale del Paese, si teme per la vita di sei bambini appartenenti alla minoranza sciita che si trovavano su uno scuolabus attaccato da un gruppo di miliziani. Nell’agguato, avvenuto nei pressi della valle di Swat, l’autista del mezzo è stato ucciso mentre altri due bambini sono rimasti feriti.

La visita di Ahmadinejad in Africa
Il presidente iraniano, Ahmadinejad, ha appena concluso una visita di tre giorni in Africa: ha fatto tappa nelle isole Comore, a Gibuti e in Kenya. In particolare, nella visita a Nairobi è giunto a capo di una delegazione di alto livello: tra gli altri, il ministro degli Esteri e 200 uomini di affari. La cooperazione economica era tra gli obiettivi della visita, ma ci sono stati appuntamenti anche con leader religiosi. Del significato e dell’importanza di questa visita del presidente iraniano in Africa, Fausta Speranza ha parlato con l’inviato del Corriere della Sera, Massimo Alberizzi, raggiungendolo telefonicamente in Kenya:RealAudioMP3

R. - Gli accordi commerciali nascondono sempre una penetrazione, un’influenza politica. L’influenza politica iraniana è sicuramente anche un’influenza religiosa, anche se è sciita e i musulmani che sono da questa parte sono sunniti. Però, si vede un crescere continuo di moschee, per esempio, in Etiopia, in Eritrea - perfino in Eritrea che è un Paese che dovrebbe essere molto laico - e anche qui in Kenya, dove ci sono numerosi finanziamenti. La povertà, ovviamente, incide su questo perché se uno apre una moschea e poi accanto una scuola coranica e infine il refettorio è ovvio che le popolazioni più povere ne sono attratte. Io credo che il Kenya, comunque, dipenderà sempre dagli aiuti occidentali.

 
Sud Sudan
I combattimenti di questa settimana nella città di Malakal nel sud Sudan hanno provocato 50 morti e 100 feriti. È quanto denunciano fonti ONU, che parlano di scontri tra ex ribelli dell’Armata per la liberazione del Sud Sudan (Spla) e uomini legati a Gabriel Tang, un capo della milizia nordista durante la guerra civile tra sud e nord Sudan e ora generale delle forze armate sudanesi.

Ue-Usa
L'Ufficio del presidente ceco, Vaclav Klaus, e il ministro degli Esteri, Karel Schwarzenberg, hanno confermato la visita del presidente Usa, Barack Obama, a Praga nell'ambito del suo viaggio in Europa ai primi di aprile. Obama dovrebbe arrivare assieme al segretario di Stato, Hillary Clinton, e alla Difesa, Robert Gates. La Repubblica ceca, che attualmente riveste la presidenza di turno dell'Ue, si sta adoperando per poter ospitare a Praga un vertice Ue-Usa con Obama sin dal uso insediamento alla Casa Bianca a gennaio. Secondo l'agenzia ceca Ctk, fra i temi in agenda dei colloqui con Obama anche il futuro dello scudo spaziale americano che prevede l'installazione di radar antimissile sul territorio ceco e di una base di dieci intercettori in Polonia. I relativi accordi bilaterali sono stati firmati tra Praga e Washington a luglio e settembre scorsi. Manca ancora l'ok del parlamento ceco. Obama aveva annunciato di volere confermare il progetto se risulterà “tecnologicamente e finanziariamente conveniente”.

Crisi e Europa dell’Est
La crisi economica si fa sentire anche nei Paesi dell’est Europa. In qualche caso, i governi si trovano in seria difficoltà e non sarebbe una crisi senza conseguenza sull’intera area. Il servizio di Giuseppe D’Amato:RealAudioMP3

Siamo sull’orlo della bancarotta: questa l’ammissione del nuovo primo ministro lettone, Valdis Dombrovskis, subito dopo l’investitura. Servono tagli dolorosi se si vuole evitare il collasso finanziario. Il Paese baltico ha ottenuto un prestito dal Fmi, ma non ha adempiuto completamente agli impegni presi. Una simile situazione si osserva in Ucraina dove la crisi economica va però a braccetto con quella politica. Lo scontro tra il presidente Yushenko e il premier Tymoshenko prosegue senza sosta. Il rating sul debito della Repubblica ex-sovietica è stato ridotto di due gradini provocando ingenti perdite a numerose società straniere che hanno investito nel Paese. In Russia il governo si scontra con la necessità di dover tagliare le spese di bilancio. Nel giro di pochi mesi, l’Europa centro-orientale è passata da un boom esaltante allo spettro del default. Il timore delle istituzioni internazionali è che la caduta di un Paese possa provocare un disastroso effetto domino.

 
Spagna
Elezioni antidemocratiche e frode politica. Sono queste le dure accuse mosse dai separatisti baschi dell’Eta nei confronti del partito nazionalista basco alla guida del governo regionale. Il tutto, in vista delle elezioni previste per domenica prossima, che saranno le prime dopo 30 anni senza nessuna sigla politica riconducibile all’Eta, il gruppo separatista responsabile di oltre 800 morti in decenni di attentati terroristici. Per questo motivo, il gruppo separatista ha invitato gli elettori a votare in modo che il loro voto venga contabilizzato come nullo.

Italia
Il Consiglio dei ministri italiano stamane ha approvato, tra gli altri, il disegno di legge di riforma del diritto di sciopero nel settore dei trasporti. Il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, ha confermato il via libera, sottolineando l'esigenza di coniugare il diritto di sciopero con la libertà di movimento dei cittadini. La novità principale prevista dalle nuove norme è quella del referendum consultivo preventivo obbligatorio prima dello sciopero, a meno che non si tratti di un'agitazione proclamata da parte di organizzazioni sindacali complessivamente dotate di un grado di rappresentatività superiore al 50% dei lavoratori. Per alcune categorie professionali che, per le peculiarità della prestazione lavorativa e delle mansioni, possano determinare, in caso di astensione dal lavoro, la concreta impossibilità di erogare il servizio principale ed essenziale, arriva lo sciopero virtuale: un lavoratore potrebbe dichiarare l'astensione dal lavoro prestando comunque la sua attività ma perdendo la retribuzione, destinata a fini sociali.

Bangladesh
In Bangladesh, le forze di sicurezza hanno fermato centinaia di uomini del gruppo militare frontaliero che aveva dato vita all’ammutinamento cominciato due giorni fa e conclusosi ieri con un’azione dell’esercito. Ieri, si era parlato di 50 morti tra i sostenitori della protesta mentre oggi sembra che siano 42. Motivo dichiarato della rivolta dei soldati era una rivendicazione salariale e ieri era stato detto che le autorità avevano annunciato “concessioni”. Era stata anche annunciata un’amnistia per il gesto di rivolta ma non è chiaro quali restrizioni ci saranno.

Venezuela
Nessun ferito, ma solo danni ad un edificio nell’esplosione di un ordigno contro un centro ebraico a Caracas, capitale del Venezuela. Questo atto di terrorismo non è l’unico che ha colpito ultimamente la città venezuelana: alla fine di gennaio, la principale sinagoga è stata fatta oggetto di atti di vandalismo da un gruppo di uomini armati, fra cui alcuni poliziotti. L'attacco era avvenuto in un momento di tensione nei rapporti fra Venezuela e Israele, con duri attacchi del presidente venezuelano, Hugo Chavez, contro lo Stato ebraico a causa dell'operazione militare a Gaza.

Georgia
Decine di famiglie georgiane sono state espulse nella notte dalle forze separatiste della regione secessionista dell'Abkhazia. Lo riferiscono alti ufficiali georgiani, ma le autorità dell'Abkhazia hanno respinto le accuse. Secondo quanto si è appreso, almeno 40 georgiani del villaggio di Otobaia sono stati costretti ad accamparsi nei boschi al confine. “Ci hanno detto di essere stati sfrattati dalle loro case”, ha detto un portavoce della missione Ue che ha il compito di monitorare l'area. “Gli abitanti sono stati quindi portati nei boschi dai soldati”, ha aggiunto. Il Ministero dell'interno georgiano ha precisato che 50 famiglie sono state costrette a lasciare le loro case dai soldati abkhazi che stavano cercando una persona. Otobaia si trova nella regione orientale di Gali, dove risiede una larga comunità etnica georgiana che protesta perchè vittima di discriminazioni.

Cina
Aprire un’inchiesta sulla repressione militare scatenata il 3-4 giugno 1989 contro gli studenti che manifestavano per la democrazia. È questa la richiesta del gruppo delle “Madri di Tienanmen” contenuta in una lettera aperta inviata al Congresso nazionale del popolo, il parlamento cinese, che si riunirà la prossima settimana. I firmatari chiedono la pubblicazione del numero e dei nomi dei morti, oltre ad un risarcimento per i parenti delle vittime e una punizione per i responsabili. Il gruppo delle "madri di Tienanmen" dal 1995 chiede l'apertura di un'inchiesta sulla morte di questi giovani. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)


Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 58

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