2009-02-23 07:45:04

Un libro per ricordare don Giussani a quattro anni dalla scomparsa


Quattro anni fa, il 22 febbraio 2005, si spegneva a Milano don Luigi Giussani. Tra le iniziative per ricordare il fondatore di Comunione e Liberazione, un libro pubblicato in questi giorni dalle Edizioni San Paolo di don Massimo Camisasca, intitolato “Don Giussani. La sua esperienza dell'uomo e di Dio”. "Uno dei più grandi educatori del Novecento", così l'autore definisce don Giussani, "un genio dell'umano e della fede, ma soprattutto l'amico che avresti voluto accanto, durante il viaggio della vita". E proprio da un viaggio è cominciata l'esperienza che avrebbe portato alla nascita del movimento di Comunione e Liberazione, come don Massimo Camisasca racconta al microfono di Rosario Tronnolone: RealAudioMP3
R. – E’ nata dal contatto che ha avuto con dei giovani, su un treno, tra Milano e Rimini. Parlando con loro don Giussani ha trovato questi giovani molto ignoranti del cristianesimo; eravamo agli inizi degli anni ’50, e siccome però li ha trovati nello stesso tempo anche molto buoni, molto aperti, ha capito che fosse necessario lasciare la cattedra che egli aveva alla facoltà di Venegono e venire ad insegnare religione in un liceo, il Berchet, dove poi io l’avrei incontrato. Cioè, entrare nel vivo della vita dei ragazzi, perché sentiva la necessità che la Chiesa dovesse rinascere, innanzitutto per loro; ogni nuova generazione era, per lui, l’occasione per rivivere tutto quello che aveva incontrato, per riesprimerlo con nuove parole di fronte alle nuove situazioni.
 
D. – Conoscerlo come insegnante di religione che cosa ha significato?
 
R. – A me ha fatto un’impressione grandissima, subito, fin dalle prime lezioni. Mi impressionava la sua capacità di andare dritto al cuore degli ascoltatori, di interpellarli nelle loro esigenze ed attese più profonde; nello stesso tempo il rigore del suo parlare, la capacità di documentazione biblica, storica che aveva. Non tutti erano favorevoli a don Giussani, anzi, però tutti lo ascoltavano con estremo interesse.
 
D. – In che modo è riuscito a far sì che l’annuncio cristiano non rimanesse confinato in sacrestia, ma diventasse invece una risposta umanamente interessante?
 
R. – Innanzitutto accostandosi ai giovani, ascoltandoli, vivendo con loro; e poi facendo vedere che il cristianesimo non è la censura di nulla, ma è la valorizzazione di ogni interesse di vita: al teatro, al cinema, alla musica, alla letteratura, alla poesia. Ha fatto vedere che realmente Cristo è il compimento di ogni sana esperienza dell’uomo; è un po’ quello che san Paolo dice: “tutto ciò che è vero, tutto ciò che è giusto, tutto ciò che merita lode, anche questo sia vostro”.
 
D. – Che cosa significava “educare”, per don Giussani?
 
R. – Forse la parola “educatore” è quella che meglio esprime la vocazione di don Giussani, e devo dire che una delle sue opere più importanti – “Il rischio educativo” – rimane per me, che l’ho riletto decine e decine di volte, un classico. Egli vuole, preoccupato com’è dalla crisi della tradizione cristiana che lui profeticamente vedeva venire avanti, riscoprire la perennità di questa tradizione attraverso però un cammino che ne valorizzasse tutta l’attualità. E allora, tutto il suo discorso pedagogico si muove attraverso: primo, l’accompagnamento alla persona; secondo, l’aiuto alla persona a scoprire quali sono le sue esigenze, le sue attese più profonde; terzo, il dialogo con la tradizione in cui la persona è inserita; quarto, mostrare come questa tradizione non debba essere semplicemente recepita come un dato che viene a noi per autorità, ma debba essere invece riscoperta, come qualcosa che noi troviamo come veramente rispondente a noi. E quindi, attraverso questa crisi, si forma la maturità della persona, che diventa realmente capace di convinzione, e quindi anche di trasmissione - di ciò che ha incontrato - agli altri uomini.
 
D. – Lei ha incontrato don Giussani negli anni ’50, ma gli è rimasto vicino per tutta la sua vita; che ricordo ha degli ultimi anni di don Giussani?
 
R. – Soprattutto, penso che gli ultimi anni di don Giussani mostrino molto intendimento profondo della sua esistenza; segnato dalla malattia, io non l’ho mai sentito lamentarsi. E penso che, nella profondità di se stesso, egli ha capito che la malattia non era qualcosa che Dio gli chiedeva in modo strano, ma era l’offerta suprema che Dio gli chiedeva per il compimento della sua stessa opera. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







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