Sri Lanka: aerei Tamil attaccano la capitale. Intervista col nunzio
Ennesima fiammata di violenza nello Sri Lanka. Due aerei ultraleggeri dei ribelli
dell’Ltte, il movimento guerrigliero delle Tigri Tamil, hanno attaccato la notte scorsa
la capitale Colombo, bombardando alcune sedi del ministero del Tesoro e altri uffici
del governo. Almeno due i morti e 44 i feriti causati dalle esplosioni. L’azione dei
Tamil avviene in risposta all’avanzata inarrestabile dell’esercito srilankese nel
nord dell’Isola contro le basi dei ribelli, ormai vicini alle resa finale. La guerra
civile nel Paese asiatico – ricordiamo – si protrae dal 1983 e ha causato oltre 70
mila vittime. Ma quale significato dare a quest’ultimo preoccupante episodio? Giancarlo
La Vella lo ha chiesto a mons. Mario Zenari, da poco nominato nunzio apostolico
in Siria, ma ancora reggente della nunziatura nello Sri Lanka:
R. – Qualcuno
lo interpreta come uno degli ultimi atti, visto che ormai, da un punto di vista militare,
i ribelli si trovano confinati in un piccolo lembo di terra – 85-90 chilometri quadrati
-, quindi sembrerebbe la disfatta per loro. Certamente, più che altro, fa impressione
la situazione della popolazione civile, ancora intrappolata in questo piccolo lembo
di terra al nord-est.
D. – Proprio su questo, che
prezzo si sta pagando, a livello umanitario?
R. –
La Comunità internazionale è molto preoccupata per le sorti di questa popolazione
civile, che adesso ha la possibilità di andare in una striscia di terra lunga dodici
chilometri e larga due, verso il mare, definita dalle autorità di Colombo “zona di
non combattimento”, però sono capitati degli incidenti, con 200 morti e più di 200
feriti. Naturalmente, le parti belligeranti si accusano l’un l’altra; la gente è ormai
stanca, la situazione dei feriti è molto drammatica, ed abbiamo – in questa zona –
i nostri preti, circa 25, assieme alle loro comunità, ed ancora in questa zona, una
trentina di religiose. Ma la descrizione che fanno, è molto drammatica: un sacerdote,
qualche giorno fa, riferiva la mancanza soprattutto di medicine e di attrezzature
per poter venire in soccorso di questi feriti. Naturalmente – come dice uno di questi
preti – neanche a parlarne, ai ribelli, di lasciar evacuare la popolazione civile,
che purtroppo è tenuta come scudo umano; naturalmente, ecco, un invito a tutte e due
le parti ad osservare il diritto internazionale, a non sparare nelle zone dove c’è
la popolazione civile.
D. – L’opzione delle armi,
purtroppo, ha preso il sopravvento sul negoziato; c’è il rischio che quello tra l’esercito
srilankese e i ribelli Tamil diventi un conflitto senza fine?
R.
– L’opinione comune è che non bisogna pensare che, con la fine della guerra, sia finito
anche il conflitto, perché al termine del conflitto ci occorrono soprattutto soluzioni,
programmi; si deve lavorare alle cause di questo conflitto per avere poi una soluzione
pacifica. Si tratta di sanare 25 anni di guerra, si tratta di sanare delle ingiustizie,
e quindi la strada è ancora tutta in salita, e l’opera della Chiesa è molto importante,
perché può dare questa tonalità di riconciliazione, di attenzione alle legittime aspirazioni
dei vari gruppi etnici, perché c’è questa possibilità di avere le due principali etnie
nel proprio seno.