Il cardinale Arinze: il mondo non emargini né sfrutti l'Africa
Il continente africano si appresta a vivere due eventi importanti: il viaggio del
Papa in Camerun e Angola dal 17 al 23 marzo, e la seconda Assemblea sinodale per l’Africa
che avrà luogo in Vaticano dal 4 al 25 ottobre sul tema della Chiesa a servizio della
riconciliazione, della giustizia e della pace. Ma cosa propone la Chiesa per la società
africana? Fabio Colagrande lo ha chiesto al cardinale Francis Arinze,
presidente delegato del Sinodo:
R. – La
Chiesa non ha una ricetta politica o economica, ma annuncia il Vangelo, che fa appello
al cuore umano, il che vuol dire amare Dio e amare il prossimo, rispettare i diritti
degli altri; la Chiesa aiuta a formare le coscienze.
D.
– Un’altra sfida forte, che vede la Chiesa impegnata soprattutto in Occidente, quella
della tutela della vita, è presente anche in Africa…
R.
– E’ vero. Le minacce contro la vita non risparmiano nessun Paese nel mondo; per esempio,
la contraccezione, l’aborto, restano sempre un attacco alla vita. Certo, nella cultura
di molti Paesi africani il bambino è considerato come una benedizione, non come un
problema; anche quando la gente è povera, danno sempre il “benvenuto” al bambino.
E’ anche vero che la Chiesa, in molti Paesi africani, ha promosso l’insegnamento dei
metodi naturali, e questo funziona. Nei parlamenti del continente c’è anche la difesa
della vita, e molti Paesi, in Africa, non approvano l’aborto; in Africa l’eutanasia
non è proprio presa in considerazione, e se mai qualcuno la introdurrà, sarebbe un
qualcosa che va veramente contro tutta la tradizione africana, che onora gli anziani,
i quali vengono mantenuti nella famiglia anche quando questa è povera.
D.
– Il primo Sinodo sull’Africa, nel ’94, ha sottolineato che la Chiesa africana ha
compiuto un’opzione preferenziale per i poveri; concretamente, oggi, cosa significa
questo sul piano pastorale e sociale?
R. – Significa
essere la voce dei senza-voce, significa difendere i diritti umani e affermare che
è dovere di chi è al governo di non badare ai propri interessi, ma di servire il popolo,
perché essere un’autorità significa servire. In questo senso la Chiesa chiede anche
che le elezioni politiche siano sempre oneste; addirittura alcune diocesi africane
hanno formato dei laici perché compiano una sorta di monitoraggio – non ufficiale
- delle elezioni: questo vuol dire presenza dei cittadini nella vita pubblica. Tutto
questo è importante, perché la Chiesa non vive nelle sacrestie: i cristiani sono cittadini
come gli altri e devono essere presenti come il sale e il lievito e lavorare da dentro.
D.
– Ci sono, ancora, difficoltà per quanto riguarda l’inculturazione della liturgia,
in Africa, e a che punto siamo?
R. – Non direi proprio
difficoltà, ma ci sono delle sfide. L’inculturazione procede abbastanza bene in Africa;
c’è ancora molto da fare, ma non si può fare tutto precipitosamente, perché il tempo
non rispetta quello che si fa senza di lui… ma si procede comunque bene. Il ruolo
principale è quello degli esperti, dei teologi e dei vescovi.
D.
– Quali sono le sue speranze, i suoi auspici, per questo anno così importante per
la Chiesa in Africa, con il viaggio del Papa a marzo e poi il Sinodo ad ottobre?
R.
– Le mie speranze sono una crescita della fede nel continente africano e poi che l’Africa
sia presa più in considerazione negli incontri dei Grandi, il G7, il G8, il G20 ecc…perché
l’Africa non sia emarginata ma che si riconosca come un continente importante per
il mondo intero. E occorre dire che alcune cose negative dell’Africa – come le guerre
e le tensioni - non sono puramente eventi locali, ma fatti che vedono coinvolti fattori
internazionali con interessi precisi; nel mondo di oggi – il cosiddetto “villaggio
globale” - dobbiamo collaborare, dobbiamo imparare a collaborare di più per la promozione
dei diversi popoli. E questa visita del Papa senza dubbio aiuterà.