Darfur: spiragli di pace dopo l'accordo tra governo e ribelli
Nuovi spiragli di pace in Darfur dopo la firma a Doha, in Qatar, di un accordo preliminare
tra governo sudanese e ribelli del sedicente Movimento per la giustizia e l’uguaglianza.
L’intesa, sottoscritta ieri, prevede uno scambio di prigionieri e l’apertura di una
conferenza di pace. Nella regione flagellata dalla guerra civile scoppiata nel 2003,
le vittime del conflitto sono state, secondo l’Onu, oltre 300 mila. Per il governo
sudanese, invece, i morti sono stati meno di dieci mila. Adesso si spera nei negoziati.
Ma quali effetti può avere per il Darfur la firma di questo accordo preliminare? Amedeo
Lomonaco lo ha chiesto a padre Giancarlo Ramanzini, missionario comboniano
che ha vissuto in Sudan per 36 anni, di cui 16 in Darfur:
R. – E’ un
segno di speranza da parte sia del Movimento principale di ribelli nel Darfur sia
da parte del governo. Ma se questo accordo di pace non verrà controfirmato in fretta,
che cosa penserà la regione del Sud che andrà alle urne nel 2011 per decidere sulla
sua autodeterminazione? Il governo, poi, cosa desidera veramente: l’unità del Paese
o di nuovo la guerra? Politicamente questo accordo preliminare costituisce un primo
passo. Ma non credo che avrà grandi effetti. Penso che sia un tentativo di risolvere
il problema ma anche indirettamente di dimostrare a tutto il mondo che il presidente
del Sudan non è poi un criminale, come sostenuto dalla Corte internazionale. D.
–Dopo questo accordo preliminare, sarà probabilmente più lontano il mandato di arresto
nei confronti del presidente sudanese Omar Hassan El Bashir, incriminato
per crimini di guerra e contro l’umanità da parte della Corte Penale Internazionale
dell’Aja… R. – A Khartoum non credono che questo arriverà. La
gente pensa che non si arriverà ad avere la forza di portare a termine questo mandato
di arresto. E’ troppo grande l’influenza della Russia e della Cina in Sudan. C’è poi
dietro questo accordo il tentativo da parte di El Bashir di presentarsi
al mondo come se volesse dire: ‘Vedete, io sono capace di promuovere anche la pace,
non sono il criminale che voi pensate che io sia’. D. – Tra
gli ostacoli per il processo di pace c’è il fatto che, oltre al gruppo principale,
gli altri movimenti di ribelli del Darfur non partecipano ai colloqui… R.
– Non partecipano perché non ci credono. Ritengono che sia un tentativo da parte del
governo di porre ancora sotto controllo questi movimenti. Il governo non vuole assolutamente
cedere. Khartoum oggi è un cantiere aperto e sta diventando un posto di accentramento
economico. Questo conferisce al governo la possibilità di dimostrare la sua capacità
di azione. Danno anche l’illusione che creando occasioni di lavoro, realizzando qualche
ospedale in più e qualche scuola, si possa assicurare una vita migliore alle famiglie.
Il governo non vuole assolutamente cedere perché si sente spalleggiato da potenze
come la Russia, la Cina. C’è poi la questione del petrolio, dell’acqua e delle altre
risorse di cui questa zona è ricchissima, anche se appare come un deserto in cui niente
può crescere.