Venticinque anni di impegno della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel. L’incoraggiamento
di Benedetto XVI
“Proseguire efficacemente” la lotta contro i mali che, nei Paesi del Sahel, “impediscono
alle popolazioni di giungere a uno sviluppo autentico”: è l’esortazione di Benedetto
XVI in un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, in
occasione del 25.mo anniversario della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel.
Il documento è stato inviato ai partecipanti all’atto commemorativo che si tiene a
Ouagadougou in Burkina Faso, e che culmina oggi con una Messa solenne. Il viaggio
del Papa in Africa a marzo, come lo svolgimento a Roma a ottobre della seconda assemblea
speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi, si legge nel messaggio, “sono segni
eloquenti” dell'“affetto particolare” che Benedetto XVI nutre per tutta l'Africa.
A Ouagadougou è presente anche il segretario di “Cor Unum”, mons. Karel Kasteel,
da quindici anni Osservatore della Santa Sede presso la Fondazione. Roberto Piermarini
gli ha chiesto cosa ha spinto Giovanni Paolo II, 25 anni fa, a creare la Fondazione
per il Sahel:
R. – Quando
Papa Giovanni Paolo II è stato eletto, dopo poco tempo ha deciso di visitare, in primo
luogo, i Paesi più poveri, e certamente questi nove Paesi del Sahel sono tra i più
poveri del mondo; un po’ perché non ci sono – o non c’erano – risorse naturali, un
po’ perché i colonizzatori non se ne erano occupati molto, un po’ anche per questa
realtà climatica così dura, perché l’acqua appena arriva tante volte scompare. Quindi,
occorre fare cisterne, fare pozzi, fare tanti lavori come sono stati fatti in Europa
o in altri continenti. Però, un impegno così gigantesco per 150 milioni di persone,
lo si può fare solo se si è uniti, e il Papa ha voluto dare un esempio di collaborazione
tra cristiani, musulmani e animisti – che sono le popolazioni che hanno ancora la
loro religione o credenze indigene – e devo dire che è stato un successo enorme, perché
in tutti questi nove Stati, la Fondazione ha un prestigio enorme.
D.
– Qual è la specificità della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel?
R.
– In primo luogo, il Papa l’ha voluta con poteri di governo locale: cioè, i nove vescovi
amministratori – che rappresentano i nove Paesi del Sahel – decidono circa l’impiego
dei fondi, le priorità e ciò che è più importante anche a lungo termine, quando si
tratta di progetti di sviluppo. Quindi, non c’è imposizione da parte europea o americana.
La Fondazione ha la sua sede operativa extra-territoriale nella capitale del Burkina
Faso, Ouagadougou – una grande città, con 2 milioni di abitanti -, mentre la sede
legale si trova presso il nostro Pontificio Consiglio “Cor Unum”, nello Stato della
Città del Vaticano. Il capitale è custodito qui e la Fondazione decide sull’impiego
del denaro che ogni anno si libera dal capitale, e anche attraverso donazioni. Devo
dire che un’altra specificità della Fondazione è che ad essa collaborano insieme le
tre maggiori religioni di questi Paesi. In più, la Fondazione ha potuto far intervenire
anche i grandi esperti israeliani di ingegneria idrica. In Israele, infatti, è stata
molto sviluppata la tecnica del “goccia a goccia” – quindi con poca acqua si possono
creare grandi estensioni di terreno che possono essere coltivate, e quindi strappate
al deserto – perché la Fondazione deve soprattutto trovare i mezzi per combattere
la desertificazione.
D. – Mons. Kasteel, quali sono
i risultati concreti ottenuti dalla Fondazione?
R.
– Ci sono molti risultati, perché sono state date molte borse di studio, e quindi
molti giovani – e non più giovani – hanno potuto studiare, in particolare le tecniche
necessarie per aiutare le popolazioni locali. I risultati sono anche visibili quando
uno si reca in Africa. Ho visitato ad esempio diversi luoghi: mi vengono in mente
adesso gli orti alla periferia della capitale del Mali, Bamako. Lì le donne di casa
hanno i loro orti dove coltivano i legumi e ciò di cui hanno bisogno per le loro famiglie…
e poi tanti altri luoghi, per esempio nelle isole Capo Verde dove sono state fatte
tante cisterne per raccogliere l’acqua. Prima bisognava fare chilometri e chilometri
a piedi, spesso sotto un sole cocente per raccoglierla. Adesso, la gente comincia
ad avere l’acqua vicino casa.
D. – Quali sono le
Conferenze episcopali, le Chiese nel mondo che aiutano maggiormente la Fondazione
per il Sahel?
R. – La fondazione è stata eretta dal
Servo di Dio Giovanni Paolo II, dopo il suo appello nel 1980, quando visitò Ouagadougou.
Vide la tremenda siccità, vide tanti morti, ma anche la moria del bestiame col quale
questa gente vive, e fece un appello stupendo a tutto il mondo: “Moi, Jaen Paul, l'évêque
de Rome….”, “Io, Giovanni Paolo, vescovo di Roma, chiedo a tutti i fratelli di venire
in aiuto a queste popolazioni che tanto soffrono”. La risposta più consistente venne
subito dalla Germania: i cattolici tedeschi in poco tempo riunirono un capitale –
che è la base della Fondazione – e in seguito, il cardinale Lehmann è venuto per inaugurare
anche la sede operativa della Fondazione, pagata dalla Conferenza episcopale tedesca.
Ma la Conferenza episcopale che ogni anno contribuisce in modo consistente, in maniera
estremamente importante, è la Conferenza episcopale italiana. Ogni anno fa sì che
diversi progetti della Fondazione possano essere realizzati. Sempre la Conferenza
episcopale italiana, ed anche i fedeli italiani, hanno voluto che questa Fondazione
potesse fare tutto il bene che sta facendo. Quindi di questo siamo molto grati.