Dal G7 l'impegno a stabilizzare i mercati mondiali
Stabilizzazione dei mercati finanziari e dell'economia globale, sostegno alla crescita
e all'occupazione, impegno per azioni coordinate e contro il protezionismo e riforma
del Fondo Monetario Internazionale. Sono questi i punti salienti del G7 dei ministri
del Economia che si è chiuso ieri a Roma. I particolari nel servizio di Marco Guerra:
Per fronteggiare
una crisi globale servono regole globali. È questo leitmotiv del G7 di Roma dei ministri
dell’Economia e delle Finanze. "La stabilizzazione dell'economia globale e dei mercati
finanziari rimane la nostra priorità massima", hanno infatti riconosciuto i titolari
dei dicasteri economici, sottolineando la necessità di un coordinamento per "intraprendere
azioni collettive, affinché crescano gli effetti degli sforzi individuali”. I sette
si sono quindi dati quattro mesi di tempo per elaborare un primo documento per regole
comuni, promosso dalla presidenza italiana. Un’esortazione a lavorare assieme alla
riscrittura delle nuove regole è giunto anche dal dal segretario al tesoro Usa, Geithner,
al primo esordio internazionale. Per arrivare all’ambizioso obiettivo di un nuovo
ordine economico mondiale si è posta sul tappeto anche la riforma del Fondo Monetario
Internazionale, che rafforzi l’istituzione con risorse e compiti aggiuntivi per rispondere
in modo flessibile all'attuale crisi. Dal vertice arriva anche un secco no a nuove
politiche protezionistiche, considerate quanto mai dannose in questa fase. Nel comunicato
finale viene dunque ribadito che per la ripresa è indispensabile un sistema aperto
di commercio e investimenti globali. Ma si può dire che a livello
mondiale si stia facendo davvero qualcosa per contrastare la crisi economica? Fausta
Speranza lo ha chiesto all’economista Alberto Quadrio Curzio:
R. – Certamente
si sta facendo in modo diverso in diversi luoghi del pianeta, e tuttavia si sta operando.
Parlerei di tre distinte dimensioni: Cina, Stati Uniti e Europa. D.
– Come si sta muovendo la Cina? R. - Nel grande continente cinese
è stato posto in essere un piano d’intervento assai significativo, anche utilizzando
quei surplus valutari giganteschi che la Cina aveva accumulato nel suo commercio estero,
fatto – devo dire – con molti dumping, tra cui un dumping sociale veramente impressionante.
Tuttavia, adesso, queste risorse finanziarie vengono usate all’interno perché la situazione
cinese è seria, in quanto molta parte di popolazione che si era trasferita nelle città
per uno sviluppo tumultuoso, sta ritornando alle campagne e non ritorna in condizioni
di sussistenza adeguata. D. – Negli Stati Uniti il piano di
rilancio di Obama è stato approvato in tempi record… R. - Gli
Stati Uniti stanno attuando piani d’intervento sempre più grandi, battendo moneta.
Tutto ciò, quando ci sarà una ripresa consistente, potrà anche produrre inflazione
ma, d’altra parte, in questo momento è difficile dare consigli più saggi ad un Paese
che ha combinato un guaio così grosso e si trova in una situazione così seria. D.
– Cosa dire dell’Europa? R. - Per quanto riguarda l’Europa, qui
veramente c’è un commento critico da fare: partendo dalla considerazione che la situazione
europea è molto migliore di quella di tutti gli altri grandi Paesi, perché l’Europa
ha ancora un risparmio assai consistente – 15% del prodotto interno lordo a fronte
di solo uno-due punti percentuali degli Stati Uniti – ed anche una solidità maggiore
del suo sistema manifatturiero, produttivo, ed anche agricolo. Oggi parlare di agricoltura
sembrerebbe quasi ridicolo, tutti guardavano alla finanza creativa e ai fasti dell’immateriale
eppure anche l’agricoltura conta. Ebbene l’Europa è certamente in posizioni molto
migliori e tuttavia vi è un deficit enorme in Europa, che è quello della politica.
La politica non sta agendo. L’Europa in questo momento dovrebbe trovare la forza di
una maggiore identità politica per lanciare un grande piano d’intervento comunitario,
non quello dei singoli Stati nazionali. Se mi è consentita una metafora, gli Stati
nazionali europei stanno, tutti, nuotando con un salvagente: non sanno o forse non
ricordano che sono sulla stessa barca o che potrebbero essere sulla stessa barca.
Se remassero tutti nella stessa direzione – attraverso un progetto comunitario – noi
europei usciremmo rapidamente dalla crisi. Io credo che l’idea di Jacques Delors,
espressa nel 1992 e ripresa poi da molti altri tra cui il sottoscritto e anche Tremonti,
di emissione di titoli di debito pubblico europei per finanziare progetti europei
sia, oggi, la strada maestra. Se gli europei non lo fanno, incomincio ad avere dei
timori per la coesistenza europea.