Il G7 a Roma: no al protezionismo per vincere la crisi mondiale
Negli Stati Uniti anche il Senato, dopo la Camera e il Congresso, ha dato il via libera
al piano di rilancio dell’economia da 787 miliardi di dollari voluto da Obama. Il
presidente americano potrebbe controfirmarlo all'inizio della prossima settimana e
dunque a meno di un mese dal suo insediamento alla Casa Bianca. Intanto, l’economia
globale è stata al centro del G7 a Roma. Dopo l'incontro informale di ieri sera con
la cena di gala, questa mattina si sono aperti i lavori. Nel primo pomeriggio, la
conferenza stampa conclusiva. Il servizio di Fausta Speranza:
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legali, ovvero regole comuni, e un nuovo "no" al protezionismo: di questo hanno parlato
stamani i cosiddetti 7 Paesi più industrializzati, che proprio per discutere di regole
sovranazionali hanno invitato o chiamato in causa Fmi, Banca mondiale, WTO, OCSE e
Financial stability forum. Il punto, sul quale l’Italia presidente di turno del G7
ha insistito, è darsi regole condivise sia in ambito di mercati finanziari, sia di
politiche fiscali, sia di commercio internazionale. Un obiettivo non da poco, che
sembra partire dalla lotta alla tentazione del protezionismo. Ma intanto - è stato
ben sottolineato - c’è urgenza di azioni immediate per riportare la normalità sui
mercati, per ripristinare la fiducia. Sul punto, abbiamo chiesto un'opinione all’economista
Alberto Quadrio Curzio:
R. -
Ristabilire la fiducia significa, a mio avviso, collegare molto meglio l’economia
finanziaria all’economia reale. Il che vuol dire che l’economia finanziaria non deve
assumere rischi eccessivi e non deve soprattutto creare dei veicoli di investimento,
degli strumenti finanziari, per i quali nessuno è in grado di calcolare esattamente
il rischio, tanto esso è grande. Sappiamo benissimo com’è nata tutta questa vicenda:
è nata con indebitamenti eccessivi di soggetti che non avevano la capacità non solo
di ripagare il debito, ma neppure di pagare gli interessi sul debito. Poi, c'è stato
il successivo camuffamento di queste situazioni, già patologiche di per sé, in prodotti
finanziari talmente difficili da comprendere che tutti andavano ad acquistarli senza
intendere il grado di rischio. E ancora, c'è stata la distribuzione di questi prodotti
in tutto il mondo, con conseguenze gravissime.
D.
- Dunque, quale lezione trarre innanzitutto?
R. -
Il punto è che il risparmio fondamentale deve servire per finanziare gli investimenti,
gli investimenti devono servire per finanziare la crescita, lo sviluppo e l’occupazione,
e non per fare plusvalenze di breve periodo, molto spesso legate a meccanismi di scambio
speculativi, che non hanno nulla a che fare con la fisiologia del mercato e del buon
vivere comune. E’ vero, il protezionismo è un pericolo: tuttavia, facciamo attenzione
anche al rispetto delle regole del commercio internazionale. Queste vanno rispettate
sia sotto il profilo degli standard dei prodotti - che vengono commerciati e che ad
esempio non possono essere ovviamente dei prodotti pericolosi per la salute - sia
sotto il profilo del rispetto delle regole del commercio. Quindi, parliamo di falsificazioni,
piuttosto che di dumping sociali, per cui certi prodotti hanno prezzi bassi
nel commercio internazionale semplicemente perchè vengono sfruttate le popolazioni
che producono i prodotti medesimi. Ebbene, questo non va bene e bisogna in qualche
modo porre rimedio a queste situazioni di profonda ingiustizia.
D.
- Professore, abbiamo vissuto il G7 di questi giorni con lo sguardo già al G20, che
è ormai prossimo, perché sembra proprio che la partita economica mondiale, a questo
punto, si giochi su un terreno più ampio, che deve comprendere le nuove economie.
E’ così?
R. - E’ così, ed è giusto che lo sia. Non
si può certamente pensare che i sette Paesi più industrializzati, ai quali è stata
aggiunta la Russia, possano in qualche modo “governare” i destini economici del pianeta
senza fare i conti con la Cina, con l’India e con altri grandi Paesi emergenti. Peraltro,
includerei anche i Paesi mediorientali, produttori di petrolio, che hanno una rendita
petrolifera gigantesca che, ahimé, non viene utilizzata adeguatamente per determinare
lo sviluppo di quei Paesi e delle loro popolazioni. Sono interlocutori molto forti,
con i quali, in qualche modo, bisogna trattare, possibilmente condizionandoli affinché
il loro sviluppo sia rivolto davvero al bene comune. E tuttavia, nei limiti in cui
ciò non sia possibile, trattando con la democrazia e con la diplomazia piuttosto che
con le armi.
D. - Il direttore generale del Fondo
monetario internazionale ha detto che “l’economia mondiale è in profonda recessione,
anche se non attraversa necessariamente un periodo di depressione”. Professore, che
vuol dire? Qual è la differenza?
R. - La recessione
è un rallentamento temporaneo della crescita economica, che può estendersi per qualche
trimestre o per un anno. La depressione è una fase molto prolungata, in cui la caduta
della domanda e la caduta conseguente dell’offerta determina delle aspettative completamente
negative degli operatori, sicché il pil non solo non cresce ma cala nel lungo termine,
per uscire poi dalla depressione. Il termine stesso richiama anche talune patologie
del vivere umano. E’ molto difficile e richiede ovviamente delle terapie molto pesanti
e, talvolta, le terapie pesanti lasciano degli strascichi anche sul corpo sociale
e sul corpo economico.