2009-02-14 15:10:44

Il G7 a Roma: no al protezionismo per vincere la crisi mondiale


Negli Stati Uniti anche il Senato, dopo la Camera e il Congresso, ha dato il via libera al piano di rilancio dell’economia da 787 miliardi di dollari voluto da Obama. Il presidente americano potrebbe controfirmarlo all'inizio della prossima settimana e dunque a meno di un mese dal suo insediamento alla Casa Bianca. Intanto, l’economia globale è stata al centro del G7 a Roma. Dopo l'incontro informale di ieri sera con la cena di gala, questa mattina si sono aperti i lavori. Nel primo pomeriggio, la conferenza stampa conclusiva. Il servizio di Fausta Speranza:RealAudioMP3

 
Standard legali, ovvero regole comuni, e un nuovo "no" al protezionismo: di questo hanno parlato stamani i cosiddetti 7 Paesi più industrializzati, che proprio per discutere di regole sovranazionali hanno invitato o chiamato in causa Fmi, Banca mondiale, WTO, OCSE e Financial stability forum. Il punto, sul quale l’Italia presidente di turno del G7 ha insistito, è darsi regole condivise sia in ambito di mercati finanziari, sia di politiche fiscali, sia di commercio internazionale. Un obiettivo non da poco, che sembra partire dalla lotta alla tentazione del protezionismo. Ma intanto - è stato ben sottolineato - c’è urgenza di azioni immediate per riportare la normalità sui mercati, per ripristinare la fiducia. Sul punto, abbiamo chiesto un'opinione all’economista Alberto Quadrio Curzio:

 
R. - Ristabilire la fiducia significa, a mio avviso, collegare molto meglio l’economia finanziaria all’economia reale. Il che vuol dire che l’economia finanziaria non deve assumere rischi eccessivi e non deve soprattutto creare dei veicoli di investimento, degli strumenti finanziari, per i quali nessuno è in grado di calcolare esattamente il rischio, tanto esso è grande. Sappiamo benissimo com’è nata tutta questa vicenda: è nata con indebitamenti eccessivi di soggetti che non avevano la capacità non solo di ripagare il debito, ma neppure di pagare gli interessi sul debito. Poi, c'è stato il successivo camuffamento di queste situazioni, già patologiche di per sé, in prodotti finanziari talmente difficili da comprendere che tutti andavano ad acquistarli senza intendere il grado di rischio. E ancora, c'è stata la distribuzione di questi prodotti in tutto il mondo, con conseguenze gravissime.

 
D. - Dunque, quale lezione trarre innanzitutto?

 
R. - Il punto è che il risparmio fondamentale deve servire per finanziare gli investimenti, gli investimenti devono servire per finanziare la crescita, lo sviluppo e l’occupazione, e non per fare plusvalenze di breve periodo, molto spesso legate a meccanismi di scambio speculativi, che non hanno nulla a che fare con la fisiologia del mercato e del buon vivere comune. E’ vero, il protezionismo è un pericolo: tuttavia, facciamo attenzione anche al rispetto delle regole del commercio internazionale. Queste vanno rispettate sia sotto il profilo degli standard dei prodotti - che vengono commerciati e che ad esempio non possono essere ovviamente dei prodotti pericolosi per la salute - sia sotto il profilo del rispetto delle regole del commercio. Quindi, parliamo di falsificazioni, piuttosto che di dumping sociali, per cui certi prodotti hanno prezzi bassi nel commercio internazionale semplicemente perchè vengono sfruttate le popolazioni che producono i prodotti medesimi. Ebbene, questo non va bene e bisogna in qualche modo porre rimedio a queste situazioni di profonda ingiustizia.

 
D. - Professore, abbiamo vissuto il G7 di questi giorni con lo sguardo già al G20, che è ormai prossimo, perché sembra proprio che la partita economica mondiale, a questo punto, si giochi su un terreno più ampio, che deve comprendere le nuove economie. E’ così?

 
R. - E’ così, ed è giusto che lo sia. Non si può certamente pensare che i sette Paesi più industrializzati, ai quali è stata aggiunta la Russia, possano in qualche modo “governare” i destini economici del pianeta senza fare i conti con la Cina, con l’India e con altri grandi Paesi emergenti. Peraltro, includerei anche i Paesi mediorientali, produttori di petrolio, che hanno una rendita petrolifera gigantesca che, ahimé, non viene utilizzata adeguatamente per determinare lo sviluppo di quei Paesi e delle loro popolazioni. Sono interlocutori molto forti, con i quali, in qualche modo, bisogna trattare, possibilmente condizionandoli affinché il loro sviluppo sia rivolto davvero al bene comune. E tuttavia, nei limiti in cui ciò non sia possibile, trattando con la democrazia e con la diplomazia piuttosto che con le armi.

 
D. - Il direttore generale del Fondo monetario internazionale ha detto che “l’economia mondiale è in profonda recessione, anche se non attraversa necessariamente un periodo di depressione”. Professore, che vuol dire? Qual è la differenza?

 
R. - La recessione è un rallentamento temporaneo della crescita economica, che può estendersi per qualche trimestre o per un anno. La depressione è una fase molto prolungata, in cui la caduta della domanda e la caduta conseguente dell’offerta determina delle aspettative completamente negative degli operatori, sicché il pil non solo non cresce ma cala nel lungo termine, per uscire poi dalla depressione. Il termine stesso richiama anche talune patologie del vivere umano. E’ molto difficile e richiede ovviamente delle terapie molto pesanti e, talvolta, le terapie pesanti lasciano degli strascichi anche sul corpo sociale e sul corpo economico.







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