Mons. Marchetto: gli Stati tutelino il "diritto allo spostamento migratorio" con politiche
rispettose della dignità degli immigrati
Politiche migratorie “aperte” e rispettose della dignità umana, piuttosto che misure
che in nome della sicurezza tendono a chiudere gli Stati agli immigrati. Con questi
e altri concetti, l’arcivescovo Agostino Marchetto difende oggi il “diritto allo spostamento
migratorio”, nel corso del suo intervento al Simposio della Fondazione Konrad Adenauer,
organizzato in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio. I particolari nel servizio
di Alessandro De Carolis:
Uno dei passaggi
più significativi della riflessione di mons. Marchetto poggia su un apparente paradosso
dell’epoca contemporanea: i Paesi con meno mezzi aprono più facilmente le porte agli
stranieri che emigrano rispetto ai Paesi ricchi, “blindati” dietro leggi sulla sicurezza
dalle maglie sempre più strette. La Convenzione internazionale per la protezione dei
diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, entrata in
vigore il primo luglio 2003, è uno strumento che finora si è scontrato “con l’atteggiamento
di alcuni Paesi, non pochi, nelle aree maggiormente “sviluppate” del mondo, che stanno
attuando - ha rilevato il presule - una progressiva politica di chiusura, quando invece
le Nazioni più povere danno prova di accoglienza, ad esempio nei confronti dei profughi
e dei rifugiati”. “Nazionalismo esasperato, connesso all’odio o all’emarginazione
sistematica o violenta delle popolazioni minoritarie”, ha notato mons. Marchetto,
sono le derive che si riscontrano in alcuni Paesi, dove l’immigrazione tende ad essere
osteggiata.
Il fenomeno, ha riconosciuto, “porta
in sé un complesso di doveri e di diritti, primo tra i quali il diritto allo spostamento
migratorio, “contestualmente, però, al diritto di ogni Paese a gestire una politica
migratoria che corrisponda al bene comune”. Bisogna ribadire, ha proseguito
mons. Marchetto, che “il diritto degli Stati alla gestione dell’immigrazione deve,
in ogni caso, prevedere misure chiare e fattibili di ingressi regolari nel Paese,
vegliare sul mercato del lavoro per ostacolare coloro che sfruttano i lavoratori migranti,
mettere in atto misure di integrazione quotidiana, contrastare comportamenti di xenofobia,
promuovere quelle forme di convivenza sociale, culturale e religiosa che ogni società
plurale pur identica esige”. In altre parole, ha affermato, quando “lo Stato deve
esercitare il suo dovere-diritto di garantire la legalità, reprimendo la criminalità
e la delinquenza e gestendo le persone in situazione irregolare, lo deve sempre fare
nel rispetto della dignità umana, dei diritti umani e delle convenzioni internazionali”.
La
Chiesa, da sempre accanto agli immigrati, sviluppa da tempo una pastorale specifica
che superi, ha detto, “la tentazione della ‘colonizzazione religiosa’ e dell’assimilazione
tout court” dei migranti. Le modalità di questa pastorale sono varie e si fondano
anzitutto sulla possibilità di affidare gli immigrati a sacerdoti “della loro lingua”.
Inoltre, la Chiesa è impegnata anche in una “strategia” di “sensibilizzazione” presso
i governi nazionali e le organizzazioni sovranazionali. Il presente e il futuro del
fenomeno migratorio saranno migliori se, ha sostenuto mons. Marchetto, gli Stati sapranno
gestirlo promuovendo “un progresso sostenibile effettivo”, che non penalizzi economicamente
gli immigrati - creando sacche di povertà che possono causare criminalità - e “rinnovando
anche la cultura e la scuola”, ovvero il “livello di umanesimo della società”.