Il cardinale Sepe: la Chiesa rilanci la speranza nel sud d'Italia
A vent’anni dal documento della Cei “Chiesa italiana e Mezzogiorno”, i rappresentanti
di un’ottantina di diocesi si ritrovano a Napoli, oggi e domani, per un convegno
dal titolo “Chiese nel Sud, Chiese del Sud”. Un’incontro per mettere a fuoco quale
cammino è stato effettuato in questi anni, quali difficoltà pastorali bisogna superare
e su quali risorse si può costruire un futuro da credenti responsabili. A specificare
gli obiettivi è il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, al microfono
di Antonella Palermo.
R. – Il
nostro obiettivo principale è cercare di riorganizzare la speranza riaffermando la
necessità per tutti di essere un po’ attivi e responsabili, partecipi, protagonisti
di uno sviluppo che deve soprattutto valorizzare le risorse che esistono. Certamente,
questo è possibile se tendiamo a far emergere queste positività perché solo così si
potrà avere un cambiamento, quindi costruire un futuro che sia anche un po’ più rispettoso
della dignità e dei diritti dell’uomo del Sud.
D.
– Dopo 20 anni dal documento Cei “Chiesa italiana nel mezzogiorno”, cosa è cambiato
e in quale direzione?
R. – Vent’anni sembrano pochi
ma sono anche tanti, in realtà. Sappiamo quali mutamenti enormi si sono avuti anche
a livello mondiale: 20 anni fa, cadeva il Muro di Berlino, ma sono caduti soprattutto
i muri ideologici, politici. Lo tocchiamo con mano in questi giorni! Il quadro economico
che in tutti i Paesi – non c’è un Paese che non senta poi questa crisi – ma anche
nei Paesi considerati più sviluppati, più industrializzati è cresciuta la disoccupazione,
è cresciuta la povertà. Questo processo di globalizzazione è vero, ha avvicinato i
popoli, ha ridotto le distanze, però non è riuscito ancora a sanare tutte le disuguaglianze
e tutte le ingiustizie. Certamente, passi avanti sono stati fatti. Rimane però questa
forbice economica-sociale, rispetto al Nord ricco.
D.
– E la Chiesa del Sud, a questo proposito, che cosa ha da dire, come si sta impegnando?
R.
– Beh, certamente anche il rapporto tra Chiesa e società è cambiato. Certamente è
migliorato in alcuni aspetti, ma forse non è cresciuto in quella maniera come auspicava
il documento dei vescovi di 20 anni fa. E’ la Chiesa che è impegnata sempre nell’annuncio
della Parola, della sua missionarietà; forse, però, non ha avuto tutta quella forza
di incidere sufficientemente nella realtà sociale. E di fatto, vediamo, permangono
delle forti ingiustizie: ci sono ancora dei diritti che sono disattesi, che sono offesi.
E soprattutto, la cosa che più preoccupa, almeno personalmente: c’è questo abbassamento
di tensione morale ed etica, che porta poi ad una speranza molto debole … E questo,
mentre crescono sotto i nostri occhi, diventano molto aggressive le illegalità, le
violenze di ogni tipo. E allora, ecco, la Chiesa cosa vuole fare? La Chiesa vuole
uscire dalle sagrestie, vuole camminare con la gente nelle strade, nei quartieri,
nelle piazze e soprattutto cercare di dar voce a chi non ha voce o a chi ha una voce
debole per sostenere, difendere soprattutto i deboli, soprattutto gli oppressi. Un
ruolo che non vuol essere certamente di supplenza a niente e a nessuno, perché non
è questo il nostro compito; ma è invece un ruolo che ci viene direttamente dal Vangelo
di Gesù Cristo, perché Cristo ci ha insegnato, ci ha mandati come suoi discepoli ad
annunciare il Vangelo della carità, il Vangelo della solidarietà, della pace e della
giustizia.
D. – Che ascolto presta la Chiesa napoletana
ai giovani e quali risposte dà loro?
R. – Quello
dei giovani ormai per noi è diventato l’argomento principale. E’ la forza, non solo
del prossimo futuro, ma è anche la base su cui cominciare già oggi a rivedere un po’
le cose, a cambiare un po’ le cose. In tutto questo è chiaro che la problematica giovanile
va vista anche all’interno di quella che è la comunità parrocchiale, insieme con la
famiglia, insieme con la scuola, proprio per vincere la noia, per vincere il vuoto,
per vincere il bullismo, per vincere tutte quelle cose che disgregano e per vincere
soprattutto poi questa attrazione malavitosa, questo sistema che cerca di inglobarli
e di annullarli. Ecco, cerca di dare loro dei luoghi, luoghi di aggregazione, luoghi
di socializzazione, luoghi di dialogo e di confronto, oltre che un impegno culturale,
ludico e così via. Per questo noi abbiamo voluto adesso creare in tutte le parrocchie
un oratorio e sta avendo un ottimo successo.(Montaggio a cura di Maria Brigini)