Eluana: la Chiesa non impone i suoi valori, ma dà testimonianza della verità. Le
riflessioni di mons. Negri e del prof. D’Agostino
Corsa contro il tempo per salvare Eluana Englaro. Prenderà il via oggi al Senato l’esame
del disegno di legge per interrompere la sospensione della nutrizione e idratazione
della donna in stato vegetativo da 17 anni, ricoverata da martedì scorso alla clinica
“La Quiete” di Udine. Intanto, le condizioni di Eluana sono stazionarie: da tre giorni
le sono state sospese idratazione e alimentazione ed è sedata. Sempre oggi la Regione
e la Procura procederanno con gli accertamenti sulle anomalie rilevate dai Nas nella
struttura. Dal canto suo, il vicedirettore de “La Quiete” sostiene che stanze e apparecchiature
della clinica sono in regola. Per una riflessione sugli aspetti etico-giuridici della
vicenda, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Francesco D’Agostino,
presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani:
R. - In
assenza di soluzioni di mediazione che si sono tentate, ma sono fallite, ritengo corretto
arrivare ad una soluzione che il governo - con la sua responsabilità politica - propone
al parlamento, e che il parlamento sarà chiamato a ratificare o a non ratificare.
D.
- Il protocollo che sta conducendo Eluana Englaro alla morte ha avuto il via libera
attraverso una sentenza. In presenza di questo vuoto legislativo, quali rischi si
corrono?
R. - Intanto, come giurista, ritengo che
non esistesse in Italia un vuoto legislativo. Il fatto che il nostro ordinamento non
prevedesse il testamento biologico non significa che nel nostro ordinamento ci fosse
un vuoto. Significa piuttosto che il testamento biologico non aveva riconoscimento
legale. Quello che ha fatto la Cassazione è stato - attraverso dei veri e propri equilibrismi
argomentativi ed interpretativi - introdurre, nel nostro ordinamento, un testamento
biologico orale, perché di questo essenzialmente si tratta. In questa situazione,
di totale lacerazione, soltanto la legge - a questo punto - può portare chiarezza
e mettere dei punti fermi.
D. - Questo l’aspetto
giuridico. Poi c’è l’aspetto, se vogliamo, culturale: in questi giorni leggiamo che
si moltiplicano gli appelli su You Tube di chi rifiuta eventuali cure mediche. Lo
spirito dei tempi sembra quasi portare ad un testamento biologico “fai da te”…
R.
- Dal punto di vista culturale, è chiarissimo che c’è una forte pressione per banalizzare
l’eutanasia e per legalizzarla. Molti di coloro che chiedono che vengano riconosciute
le loro volontà di sospensione dell’alimentazione, lo fanno partendo da atteggiamenti
propriamente ideologici e - in generale - nella più totale mancanza di consapevolezza
di quanto intricate, dolorose siano queste situazioni di fine vita. Bisognerebbe prima,
con molta umiltà, entrare nello specifico delle situazioni di fine vita. E si capirebbe
che sono tutte situazioni l’una diversa dall’altra, e che nessuna di esse trova giovamento
ad essere affrontata attraverso slogan.
D. - In questa
vicenda, peraltro - come sempre più spesso accade quando si tratta di valori – da
più parti si è criticata la Chiesa d’interferenza. Cosa ne pensa?
R.
- La battaglia contro l’eutanasia è sicuramente patrimonio dell’insegnamento della
Chiesa, ma è altrettanto - sicuramente - patrimonio dell’intera umanità. Lo dimostra
il fatto che, ordinariamente, tranne poche eccezioni, nessun Paese al mondo - cristiano,
islamico, buddista, scintoista, comunista, laico - ha mai, fino ad oggi, formalmente
riconosciuto l’eutanasia. Il no all’eutanasia è un no che ha profonde motivazioni
laiche, di carattere antropologico. A queste motivazioni si aggiungono, con tutto
il loro peso, le motivazioni dottrinali e spirituali della Chiesa.
Intanto,
il padre di Terri Schiavo, la donna americana la cui vicenda ricorda quella di Eluana,
ha scritto una lettera a Beppino Englaro. “I sostenitori dell’eutanasia - afferma
Bob Schindler - le diranno che far morire di fame e di sete una persona con danni
cerebrali non causa dolore. Sono stato testimone di questo tipo di esecuzione e posso
dire che è falso”. E conclude: sua figlia è ancora viva, la mia non più. Lei ha ancora
il controllo sul futuro di Eluana”. In questi giorni, in cui è particolarmente accesso
il dibattito nella società italiana sulla vicenda, da alcuni ambienti si è accusata
la Chiesa di voler imporre i suoi valori e la si è invitata a tacere. Una richiesta
irricevibile come sottolinea, al microfono di Alessandro Gisotti, il vescovo
di San Marino-Montefeltro, Luigi Negri:
R. - La Chiesa,
se rinunciasse alla Parola, alla responsabilità di dire la verità - come diceva Giovanni
Paolo II nella Novo Millennio Ineunte: “Il primo modo di amare gli uomini è
dire la verità” - vorrebbe dire che più profondamente ha rinunciato, o meglio ha tradito,
la sua identità. Questo è un diritto fondamentale, ma è anche la strada per un contributo
significativo alla vita sociale. Nel nostro Paese si sta compiendo un omicidio freddo
su una persona certamente viva, su una persona che non ha nessuna possibilità di difesa,
a cui si toglie l’acqua e l’alimentazione ma, nel contempo, la si seda perché non
soffra dopo aver detto impunemente, fino all’altro giorno, che da 17 anni non soffre
più. Togliere alla Chiesa il diritto di intervenire vuol dire affermare l’egemonia
assoluta ed indiscutibile di chi, al momento, è alla guida della società.
D.
- Non sarà anche che, in un tempo segnato dal relativismo, la Chiesa ancora parla
di valori non negoziabili, di verità e quindi, per questo, viene mal sopportata?
R.
- Viene mal sopportata perché ribadisce il valore della verità come esigenza fondamentale
del cuore umano e, quindi, come libertà per ciascuno di percorrere il proprio itinerario
verso la verità. E arrivata a questa verità, qualunque essa sia, l’inderogabile responsabilità
di esserne portatore nella società. Nel 1983, nella Dives in misericordia,
Giovanni Paolo II disse che il pericolo che incombeva sull’umanità non era quello
dell’olocausto nucleare, ma della perdita della libertà di coscienza dei singoli,
dei popoli, delle nazioni, ottenuta attraverso l’uso spregiudicato dei mezzi della
comunicazione sociale.
D. - In che modo, in un clima
come quello che stiamo vivendo, la Chiesa può rendere ragione della propria speranza,
vincendo chiusure e pregiudizi?
R. - Affermando che
la verità corrisponde in profondità all’esigenza del cuore dell’uomo e, quindi, è
offerta alla libertà di ogni uomo: non è imposta, ma non può essere neanche negata.
Noi questa verità che proclamiamo, la testimoniamo nella vita di fede, di carità.
Si pensi a tutte quelle enormi testimonianze di carità di cui abbiamo potuto prendere
coscienza in questa vicenda terribile di Eluana Englaro. La nostra è una verità che
si fa nella carità. Io credo che, nel mondo di oggi, debba essere testimoniata la
verità nella tranquilla e quotidiana esperienza della carità. Poi, sono la verità
e la carità che trovano l’accesso nel cuore dell’uomo, rientrano e diventano una proposta
di vita nuova ed alternativa.