Anno Paolino: l'invito all'ascolto della Parola dalla comunità del Santuario delle
Tre Fontane
Proseguono le iniziative per l’Anno Paolino: numerosi fedeli di tutto il mondo giungono
in particolare a Roma, alla riscoperta dell’Apostolo delle Genti. Tra i luoghi più
significativi della presenza di Paolo nell’Urbe c’è sicuramente il Santuario delle
Tre Fontane. Era il 67 d. C. e, nel luogo chiamato Acque Salvie, il Santo conobbe
il martirio. Non potendo essere crocifisso perché cittadino romano, fu decapitato.
Secondo la leggenda la testa, rimbalzata tre volte sul terreno, fece scaturire tre
fontane. Qui sorge l’antica abbazia cistercense affidata dal XIX secolo ai frati trappisti
e intitolata ai Santi Vincenzo e Anastasio. Paolo Ondarza ha intervistato l’abate
della comunità, padre Jacques Brière:
R. – Non
sappiamo granchè a proposito della morte di San Paolo. A partire dal II secolo, c’è
una tradizione della morte di San Paolo in un luogo chiamato le Acque Salvie; i primi
monaci che sono venuti alle Tre Fontane erano dei monaci della Cilicia, cioè della
provincia natale di San Paolo. C’è poi un altro elemento che proverebbe la sacralità
di questo luogo: questa zona era malarica. La permanenza dei monaci qui, nonostante
l’insalubrità dell’aria, mi sembra molto significativa. D. –
Padre Briere, che cosa dice il martirio di San Paolo agli uomini e alle donne dei
nostri giorni? R. – Penso che sia una testimonianza della fede
in Cristo; c’è molta gente, per esempio, che si prepara a partire in missione, e prima
di andare, viene a pregare in questo luogo per affidare tutto all’intercessione di
San Paolo. D. – Solo un viale alberato separa il silenzio del
vostro santuario dal caos cittadino; la vostra è davvero una testimonianza dell’importanza
del silenzio per l’uomo di oggi, la cui vita è scandita da ritmi spesso frenetici… R.
– Questa è una novità, perché fino agli anni Sessanta il monastero era abbastanza
separato dal resto della città. Oggi siamo dentro la città. Che cosa significa essere
monaci nella città? Non è facile, perché dobbiamo essere fedeli alla nostra tradizione
circestense ma, allo stesso tempo, siamo chiamati ad essere aperti ai segni dei tempi
e alla vita della Chiesa. D. – Potremmo dire che la specificità
di questo luogo sacro, nell’ambito del pellegrinaggio dell’Anno Paolino a Roma, è
che “mescola” in sé la spiritualità paolina con quella della vita monastica di voi
trappisti? R. – Quando parlo ai gruppi che vengono al Santuario,
faccio sempre notare che non c’è niente da vedere in una chiesa circestense: una chiesa
circestense è fatta per l’ascolto. Questo luogo, con l’austerità dell’architettura,
con il suo silenzio, con il contrasto che ha col mondo esteriore, è una chiamata a
mettersi all’ascolto della Parola di Dio. D. – Quella parola
di Dio che anche Saulo di Tarso ascoltò… R. – Sì, San Paolo
conosce la tradizione biblica; è sufficiente leggere le sue lettere per rendersi conto
della sua conoscenza e della sua capacità d’interpretare l’Antico Testamento.