2009-02-01 15:50:39

Anno Paolino: l'invito all'ascolto della Parola dalla comunità del Santuario delle Tre Fontane


Proseguono le iniziative per l’Anno Paolino: numerosi fedeli di tutto il mondo giungono in particolare a Roma, alla riscoperta dell’Apostolo delle Genti. Tra i luoghi più significativi della presenza di Paolo nell’Urbe c’è sicuramente il Santuario delle Tre Fontane. Era il 67 d. C. e, nel luogo chiamato Acque Salvie, il Santo conobbe il martirio. Non potendo essere crocifisso perché cittadino romano, fu decapitato. Secondo la leggenda la testa, rimbalzata tre volte sul terreno, fece scaturire tre fontane. Qui sorge l’antica abbazia cistercense affidata dal XIX secolo ai frati trappisti e intitolata ai Santi Vincenzo e Anastasio. Paolo Ondarza ha intervistato l’abate della comunità, padre Jacques Brière:RealAudioMP3

R. – Non sappiamo granchè a proposito della morte di San Paolo. A partire dal II secolo, c’è una tradizione della morte di San Paolo in un luogo chiamato le Acque Salvie; i primi monaci che sono venuti alle Tre Fontane erano dei monaci della Cilicia, cioè della provincia natale di San Paolo. C’è poi un altro elemento che proverebbe la sacralità di questo luogo: questa zona era malarica. La permanenza dei monaci qui, nonostante l’insalubrità dell’aria, mi sembra molto significativa.
 
D. – Padre Briere, che cosa dice il martirio di San Paolo agli uomini e alle donne dei nostri giorni?
 
R. – Penso che sia una testimonianza della fede in Cristo; c’è molta gente, per esempio, che si prepara a partire in missione, e prima di andare, viene a pregare in questo luogo per affidare tutto all’intercessione di San Paolo.
 
D. – Solo un viale alberato separa il silenzio del vostro santuario dal caos cittadino; la vostra è davvero una testimonianza dell’importanza del silenzio per l’uomo di oggi, la cui vita è scandita da ritmi spesso frenetici…
 
R. – Questa è una novità, perché fino agli anni Sessanta il monastero era abbastanza separato dal resto della città. Oggi siamo dentro la città. Che cosa significa essere monaci nella città? Non è facile, perché dobbiamo essere fedeli alla nostra tradizione circestense ma, allo stesso tempo, siamo chiamati ad essere aperti ai segni dei tempi e alla vita della Chiesa.
 
D. – Potremmo dire che la specificità di questo luogo sacro, nell’ambito del pellegrinaggio dell’Anno Paolino a Roma, è che “mescola” in sé la spiritualità paolina con quella della vita monastica di voi trappisti?
 
R. – Quando parlo ai gruppi che vengono al Santuario, faccio sempre notare che non c’è niente da vedere in una chiesa circestense: una chiesa circestense è fatta per l’ascolto. Questo luogo, con l’austerità dell’architettura, con il suo silenzio, con il contrasto che ha col mondo esteriore, è una chiamata a mettersi all’ascolto della Parola di Dio.
 
D. – Quella parola di Dio che anche Saulo di Tarso ascoltò…
 
R. – Sì, San Paolo conosce la tradizione biblica; è sufficiente leggere le sue lettere per rendersi conto della sua conoscenza e della sua capacità d’interpretare l’Antico Testamento.







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