Alta affluenza alle elezioni in Iraq: attentati ai seggi
Un civile iracheno è stato ucciso e sette poliziotti sono stati feriti dall'esplosione
di un ordigno seguita da una sparatoria in cui sono stati coinvolti agenti della polizia
in una località ad est di Tikrit. E’ accaduto in prossimità di seggi elettorali. Oggi,
infatti, in Iraq si è votato per le elezioni dei consigli provinciali. Sono quindici
milioni gli iracheni chiamati alle urne e 6.500 i seggi sparsi sul territorio nazionale,
che si sono chiusi alle 16 ora italiana, dopo che le autorità hanno deciso il prolungamento
di un'ora delle operazioni di voto. Si parla di un’alta affluenza. Il servizio di
Fausta Speranza:
Si vota in
14 delle 16 province irachene. Restano fuori Kurdistan e Kirkuk che ancora non hanno
fissato una data. Per tutti i governatorati possono invece esprimersi oggi le persone
sfollate: il loro voto è assicurato in absentia. La legge elettorale è quella votata
nel 2008, approvata dal Consiglio dei Rappresentanti dell’Iraq. Si tratta di un nuovo
sistema elettorale per l’Iraq, caratterizzato dall’uso di un sistema basato sulla
lista aperta, attraverso la quale ogni elettore sceglie il partito e il candidato
specifico. La legge ha fatto discutere per le proteste da parte delle minoranze che
non si sentono sufficientemente rappresentate. Dall’inizio del conflitto nel 2003,
alla storia come seconda Guerra del Golfo, e dunque dalla caduta di Saddam Hussein,
è il secondo momento elettorale. Dopo le elezioni per l’assemblea costituente (e parlamento
provvisorio iracheno) del 31 gennaio 2005 e il referendum di ratifica della Costituzione
del 15 ottobre 2005, l’importante tappa per passare dalle istituzioni provvisorie
irachene a quelle definitive è stata segnata dalle elezioni parlamentari del15 dicembre 2005 pereleggere i membri dell’Assemblea
Nazionale permanente. Oggi un voto locale a inizio 2009, un anno che si è aperto con
il cambio di guardia alla Casa Bianca e in cui Obama ha fissato l’inizio del ritiro
delle truppe statunitensi. Il voto di oggi sarà innanzitutto un test sulla stabilità
del Paese e sull’attuale leadership, come conferma Lucio Caracciolo, direttore della
rivista di geopolitica Limes:
R. – Certamente sono un test di stabilità
e sono una prova per il primo ministro al-Maliki, che secondo i sondaggi
dovrebbe superarla. Certamente ci sono ancora moltissime incognite, ma negli ultimi
mesi ci sono stati dei notevoli progressi per la stabilizzazione dell’Iraq.
R.
– Questa mattina l’emittente di Stato al Iraqiya ha mandato in onda le immagini del
premier che votava in un seggio allestito nella zona superprotetta, la zona verde
di Baghdad, che è stata un po’ il simbolo della presenza delle forze della coalizione
in Iraq. Viene in mente che il premier vota ancora sotto protezione della coalizione
e ci si chiede se questo sarà davvero l’anno del ritiro o come cambierà la presenza
statunitense…
R. – La presenza statunitense verrà
sicuramente ridotta, ma di qui a parlare di ritiro, ce ne vuole ancora... Secondo
l’accordo, ci sarà tempo ancora fino alla fine del 2011. Ci saranno passaggi graduali
e si comincia quest’anno...
D. – E’ un anno che si
apre con le elezioni provinciali, ma anche un anno che si apre con Obama alla Casa
Bianca e la crisi di Gaza in primo piano. Che dire?
R.
– Che tutte queste sfide messe insieme fanno tremare i polsi anche ad Obama. La sfida
probabilmente decisiva, però, è quella in Afghanistan. L’urgenza è quella israelo-palestinese
e le due cose sono ovviamente legate fra loro. Bisognerà vedere cosa farà subito Obama,
in entrambi i campi, a cominciare dall’Afghanistan.
D.
– In relazione a quanto sta accadendo in Iraq, che dire del fattore-Iran?
R.
– Che forse qualche cosa si muove: c’è l’apertura di Obama, che pare disponibile ad
un negoziato a 360 gradi, ed anche la mano tesa, sia pure con molte riserve, venuta
dal ministro degli Esteri Mottaki. Quindi, forse questo è l’anno in cui, in qualche
modo, si può sbloccare la vicenda iraniana.
Resta da dire delle ultime
dichiarazioni di Tony Blair al Times: l'ex primo ministro britannico fa sapere di
chiedersi spesso se la sua decisione di coinvolgere il Regno Unito nella guerra all'Iraq
sia stata giusta o no e di pensare tutti i giorni ai soldati e ai civili morti. Blair,
ora inviato in Medio Oriente per il Quartetto, ammette che non è affatto piacevole
sapere che molta gente lo abbia bollato come un bugiardo per aver assicurato che Saddam
era in possesso di armi di distruzione di massa.