Crisi alimentare: difficoltà per le comunità nomadi dell'Africa
“L’impatto dei cambiamenti climatici, con temperature ambientali in crescita e piogge
ormai imprevedibili, stanno rendendo le popolazioni nomadi dedite alla pastorizia
molto vulnerabili. La siccità è una sfida per gli abitanti, che spesso lasciano le
zone rurali per cercare soluzioni. Solo nel Corno d’Africa, - riferisce l'agenzia
Misna - più di 20 milioni di pastoralisti vedono il loro stile di vita messo in crisi
dalla mancanza di acqua” dice Charles Ehrhart, membro di Care International, un’organizzazione
non governativa che si interessa di povertà, ambiente e cambiamenti climatici. Ehrhart
è intervenuto ad un incontro organizzato dall’Ocha - l’ufficio di coordinamento degli
affari umanitari dell’ONU - per fare il punto sulla disponibilità di acqua nel Corno
d’Africa e in Africa orientale e centrale, a Nairobi, in Kenya. Eppure la colpa non
è solo dei cambiamenti climatici. Leilan ole Saruni, un maasai, dice che quando era
giovane poteva andare da Kitengela a Oseki – una distanza di circa 20 km – fermandosi
a salutare tutte le famiglie che incontrava sul percorso. Si trattava di cinque famiglie.
Oggi la zona è abitata da oltre 300.000 persone. Le risorse idriche non sono però
aumentate. La pressione demografica si fa sentire anche nelle regioni desertiche.
È sufficiente pensare che, secondo stime dell’ONU, nel 1950 gli abitanti del Kenya
erano oltre 6.400.000, mentre oggi la popolazione ha raggiunto i 34 milioni. Mentre
gli abitanti degli altipiani possono, in genere, godere di buone risorse idriche,
chi vive nelle grandi praterie del nord deve fare i conti con siccità e piogge erratiche.
Quando la popolazione aveva una bassa densità, uno stile di vita transumante o nomade,
permetteva di usare le risorse – acqua e foraggio per il bestiame – senza incidere
sull’ambiente. Oggi, il problema principale dei pastoralisti è la bassa mobilità visto
che sono sempre più vaste le aree recintate da privati. Così le mandrie sono costrette
in aree limitate per tempi lunghi e hanno un peso eccessivo sul consumo delle risorse
naturali. I rappresentanti dei popoli pastori di Etiopia, Kenya, Tanzania, Sudan e
Uganda presenti all’incontro, hanno chiesto interventi per migliorare l’amministrazione
del territorio, diminuire la marginalizzazione delle loro comunità e incrementare
la scolarizzazione dei più giovani. “Ci siamo accorti che occorre formarsi un’idea
più chiara dei bisogni umanitari che i cambiamenti climatici generano, là dove vivono
i popoli pastori dell’Africa”, ha concluso Besida Towe, affermando che su questi temi
si terrà un secondo incontro a metà anno. (R.P.)