Dignità e valore della vita: la testimonianza di un giovane immobilizzato
Da 17 anni vive disteso a letto, immobilizzato, attaccato ad un respiratore. Si chiama
Gianluca Bolzon e oggi di anni ne ha 35. Nell’ospedale in cui è ricoverato,
in provincia di Vicenza, è diventato un punto di riferimento per tanti altri ammalati
a cui riesce a donare voglia di vivere e speranza. La sua è una testimonianza di quanto
valga la vita, ma anche di quanto sia indispensabile il sostegno della comunità e
dello Stato che spesso, invece, risulta insufficiente. Adriana Masotti lo ha
intervistato. R.
– Sì, beh, 17 anni fa sono stato coinvolto in un incidente grave per colpa di un amico,
restando completamente paralizzato. Posso mangiare, posso parlare, usare il computer,
respiro con un respiratore e poi attraverso un simulatore diaframmatico. Ma se dovessi
spegnere uno di questi due strumenti, morirei.
D.
– Ho sentito dire dai suoi familiari: “E’ un miracolo che sia ancora qui, Gianluca!”.
E’ un miracolo veramente?
R. – Io penso di sì, perché
fino adesso sono stato sostenuto da moltissime persone che mi vogliono bene e che
mi danno motivazione di vivere, ed è per questo che sono ancora qui. Penso che ci
dev’essere intorno a noi un contesto positivo e anche lo Stato deve far la sua parte.
D.
– Perché ci sono anche tante cure da fare, da affrontare e quindi spese …
R.
– Le spese sono moltissime e lo Stato non supporta per niente queste spese. Ci vorrebbero
degli aiuti maggiori, sia per noi ammalati sia per le famiglie, altrimenti diventa
un peso, la vita diventa più grigia.
D. – So che
lei dà anche coraggio ad altri che vivono più o meno nella sua situazione: è vero?
R.
– Io non credo di far niente di speciale, ma loro dicono di prendermi come riferimento;
cerco di dar loro dei consigli, come poter andare avanti e di sperare sempre perché
la medicina evolve e da un giorno all’altro potrebbe esserci una soluzione per ogni
malattia. E poi, io credo anche molto in Dio che potrebbe benissimo intervenire con
qualche miracolo.
D. – Che cosa dice lei, cosa pensa
quando sente che alcuni malati oppure familiari di malati vorrebbero – diciamo – “mettere
il punto”, mettere un termine ad un’esistenza così in difficoltà?
R.
– Io credo che sia sbagliato, anche perché potrebbe creare un pericoloso precedente
che poi darebbe il via a molti altri casi e non si fermerebbero alle persone in coma
ma il discorso potrebbe progredire in maniera negativa. Nessuno ha il diritto di decidere
per gli altri, per la vita degli altri, anche perché potrebbe avere cambiato idea
…
D. – Ma se qualcuno le avesse chiesto: “In caso
ti trovassi a dover vivere soltanto grazie alla respirazione artificiale, vuoi continuare
a vivere oppure è meglio non ricorrere a questo?”, lei che cosa avrebbe detto?
R.
– Questo non posso dirlo con certezza. Forse avrei detto anch’io, istintivamente,
preferisco morire; ma adesso che sono vivo, sono felicissimo di esserlo e voglio continuare
a vivere …