Le ferite invisibili dei bambini a Gaza: l'azione dell'Unicef
La violenza non smette di imperversare nel conflitto tra israeliani e palestinesi
e al di là della conta di morti e feriti ci si chiede come sopravvivano le popolazioni
civili coinvolte in questa guerra senza fine. Roberta Gisotti ha intervistato
Marilena Viviani, dell’Ufficio regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e
il Nord Africa:
D. –
Dott.ssa Viviani, come state operando per aiutare le persone a Gaza dopo il cessate
il fuoco? Quali sono le urgenze sul campo?
R. – Proprio
negli ultimi due, tre giorni abbiamo un’equipe che è proprio a Gaza per fare un’analisi
dei bisogni, per capire le necessità di base. C’è stato immediatamente un supporto
in termini di materiale sanitario, materiale per l’igiene e anche materiale educativo
ed un intervento fatto con le comunità locali per aiutare i bambini direttamente anche
nei loro bisogni di tipo psico-sociale.
D. – Oltre
all’Unicef sono presenti altre organizzazioni umanitarie. Come vi state coordinando
per aiutare nel concreto le persone a riprendere i ritmi quotidiani di vita?
R.
– Nella Striscia di Gaza il 70 per cento della popolazione è ancora nello statuto
di rifugiato. Per questo è stata sempre operativa l’Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite
per l’assistenza ai rifugiati palestinesi) che è una delle agenzie più grandi dell’ONU,
ed è l’agenzia che ha la maggiore capacità di intervenire ed anche quella che è stata
più colpita dal conflitto. Noi lavoriamo con loro per gli aiuti di emergenza nel settore
dell’assistenza sanitaria, della nutrizione, dell’acqua, e anche negli interventi
educativi e psico-sociali. Lavoriamo poi anche molto con le organizzazioni non-governative.
D.
– A questo proposito ci sono ferite del corpo e ferite della mente da curare, specie
tra i bambini e i ragazzi. Ci sono programmi specifici di sostegno psicologico?
R.
– Sì, ci sono le ferite che noi diciamo visibili, che hanno colpito molto tutti noi
negli ultimi giorni e poi ci sono le ferite invisibili, quelle molto difficili da
curare, perché a volte si vedono non nell’immediato, ma più tardi, nei giorni, nei
mesi, negli anni a seguire. Questo è stato fin dall’inizio per l’Unicef un intervento
prioritario: poter guardare i bambini nel loro insieme, potersene occupare sia dal
lato della sopravvivenza fisica, ma anche della protezione e dell’aspetto psico-sociale.
L’assistenza migliore è aiutare le loro famiglie, le loro comunità, le scuole anche,
che a Gaza hanno riaperto tre giorni fa e per le prime due settimane non fanno lezione,
fanno solo attività di animazione per poter dare di nuovo il senso a questi bambini
di una vita da bambini. E noi li sosteniamo con materiale educativo, materiale pedagogico
e altri interventi ad esempio per evitare che ci siano altri feriti, ripulendo le
scuole da ordigni che sono rimasti inesplosi.
D.
– Dott.ssa Viviani, lei ha vissuto diversi anni in Medio Oriente, anche a Gaza, a
Gerusalemme. Come operatrice umanitaria le chiedo cosa manca per arrivare alla pace?
R.
– Quello che manca è forse un impegno un po’ più grande e soprattutto di saper ascoltare
le voci dei bambini. I bambini, in tutti i conflitti, sono le vittime più innocenti
e vogliono sempre la pace. La pace non è un obiettivo impossibile. Noi non ci occupiamo
di politica, ci occupiamo di creare la pace nelle menti dei bambini e credo che questo
sarà la strategia che ci aiuterà a continuare a costruire una pace duratura.