Barack Obama già al lavoro da ieri, nel suo primo giorno da presidente. Medio Oriente
in cima alla sua agenda, con quattro telefonate a leader della regione, tra cui il
premier israeliano Olmert ed il presidente palestinese Abu Mazen. Ma il nuovo inquilino
della Casa Bianca ha voluto affrontare anche il nodo Guantanamo. Dagli Stati Uniti
ci riferisce Elena Molinari:
Il primo
atto di Barack Obama sono state quattro telefonate ad altrettanti leader del Medio
Oriente per ribadire la sua determinazione a lavorare perché il cessate-il-fuoco a
Gaza sia duraturo. E da oggi stesso il compito di gestire direttamente la crisi in
Terra Santa passa ad Hillary Clinton che ieri è stata ufficialmente confermata dal
Senato alla Segreteria di Stato. Ma il primo ordine in assoluto del presidente era
arrivato già nella serata di martedì, quando aveva chiesto ai giudici militari di
sospendere, per quattro mesi, i processi dei prigionieri di Guantanamo, di fronte
ai tribunali militari. In risposta, al Pentagono, ha annunciato che riesaminerà le
procedure per la detenzione di prigionieri accusati di terrorismo. Obama potrebbe
inoltre firmare, oggi stesso, l’ordine esecutivo che prevede l’avvio dei complicati
passi necessari a chiudere la prigione sulla base americana di Cuba. Ieri Obama ha
poi avuto una lunga riunione con i suoi capi militari a cui ha chiesto di mettere
a punto un piano per un ritiro responsabile dall’Iraq. Infine, ha avuto un meeting
con il suo team economico per analizzare le misure per risollevare il Paese dalla
crisi. Intanto, si terrà oggi a Washington anche la tradizionale marcia per la vita;
dopo aver dato il benvenuto al loro nuovo presidente, centinaia di migliaia di americani
ricorderanno l’importanza di rispettare i diritti dei bambini non nati.
Il
presidente statunitense Barack Obama, dunque, potrebbe già oggi firmare un ordine
esecutivo per la chiusura entro un anno del carcere di Guantanamo. Stefano Leszczynski
ha chiesto a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, quale sia l’importanza
di questa misura:
R. –
Ha un significato molto importante, perché le procedure delle commissioni militari
sono state al centro di una battaglia tra la Corte Suprema Federale e le organizzazioni
dei diritti umani da un lato, e l’amministrazione Bush dall’altro. Sono procedure
assolutamente inique; tra l’altro le prove presentate alle commissioni militari -
estorte sotto maltrattamenti e torture – non reggerebbero in un processo civile. Nessuno
ha mai detto “chiudere Guantanamo e liberare tutti i prigionieri”; quello che è stato
detto, da più parti, è "processi equi". Chi è colpevole, al termine di una procedura
regolare, viene condannato; chi, al termine di una procedura regolare risulta innocente,
viene liberato.
D. – Dopo le ammissioni sull’utilizzo della tortura
a Guantanamo, è diventato un po’ un peso sulla coscienza di tutti gli Stati Uniti…
R.
– Non c’è dubbio. E non c’è dubbio che il presidente Obama voglia porre fine a tutto
questo, ed ha – io credo – un compito fondamentale, ancora più ampio: è quello di
ripristinare la fiducia del mondo verso gli Stati Uniti come un Paese-campione dei
diritti umani.
D. – Ci potrebbe essere una sorta
di procedimento giudiziario interno agli Stati Uniti, nei confronti dei responsabili
della precedente amministrazione?
R. – Questa è una
delle cose più difficili, ma è una delle tre che Amnesty International ha chiesto
al presidente Obama di fare, cioè attivare un meccanismo d’inchiesta che stabilisca
le responsabilità ai più alti livelli per quelle politiche e per quelle prassi che
hanno violato i diritti umani. E’ un compito molto arduo, però se così sarà, sarà
un segnale veramente importante.
D. – E’ possibile
combattere il terrorismo esclusivamente con l’arma del rispetto dei diritti umani
e dei diritti fondamentali?
R. – La risposta è sì,
ci sono – e c’erano anche nel 2001 – strumenti nel diritto internazionale che sarebbero
stati assolutamente idonei ed efficaci per ricercare i colpevoli di crimini contro
l’umanità, come gli attentati contro le Torri Gemelle, e via via per tutto quello
che è successo dopo. E’ stato scelto di non farlo.