L'appello dei vescovi iracheni in Vaticano per la visita ad Limina: il mondo non dimentichi
i cristiani dell'Iraq
I vescovi iracheni hanno iniziato oggi in Vaticano la loro visita ad Limina. Alcuni
presuli sono stati ricevuti in mattinata dal Papa. Portano al Successore di Pietro
le speranze e le sofferenze di una piccola comunità ecclesiale duramente provata dalle
conseguenze della guerra. Prima del 2003, anno dell’invasione anglo-americana, i cristiani
erano 800 mila su una popolazione di 25 milioni di abitanti, per il 95% musulmani:
l’emigrazione, dovuta alle difficili condizioni di vita e alle violenze anticristiane,
con uccisioni, rapimenti, intimidazioni e attacchi alle chiese, ne hanno dimezzato
il numero. Il servizio di Giancarlo La Vella:
Quello
dei cristiani in Iraq è un dramma nel dramma. Oltre agli attentati e alle violenze
che colpiscono quotidianamente tutta la popolazione, c’è la vicenda di una comunità
cacciata con la forza e l’intimidazione dalle proprie case e costretta ad abbandonare
tutto e a fuggire, soprattutto in Siria e Giordania, vivendo nell’indigenza e solo
grazie agli aiuti delle organizzazioni umanitarie, con il miraggio sempre più lontano
di ritornare forse un giorno in patria o di crearsi una nuova vita negli Stati Uniti,
in Australia o in Europa. Una situazione tragica in un Paese che vive nella tragedia
da sempre: prima la dittatura, poi le guerre e l’occupazione, il terrorismo e le faide
tra le varie fazioni per il controllo delle risorse e del territorio di uno Stato
che sembra ancora tutto da inventare. La paura dei cristiani è che il mondo dimentichi
l’Iraq, come sottolinea mons. Luis Sako, arcivescovo caldeo di
Kirkuk:
R. – Ci sentiamo un po’ isolati, dimenticati,
purtroppo. I cristiani che hanno lasciato il Paese e gli altri, che sono rimasti,
aspettano, senza molta speranza nell’avvenire. Vivono nella preoccupazione per i loro
bambini, per il loro futuro, per le loro case, per il loro lavoro. Penso che tocchi
anche all’Occidente, alle Chiese, aiutarci. Siamo una piccola Chiesa, siamo lì da
duemila anni, e abbiamo avuto problemi più gravi di questo. Adesso, dunque, non si
può andare via e lasciare l’Iraq. La metà dei cristiani ha lasciato il Paese e adesso
bisogna aiutare questi cristiani a ritornare.
D.
– Barack Obama è una speranza in più?
R. – Non si
sa. La politica non dipende da una persona. Se lui decide di ritirare i soldati, allora
sarà un guaio. Forse ci sarà una guerra civile. Non abbiamo abbastanza soldati e poliziotti
per controllare un Paese di 25 milioni di persone.
E
la stessa Chiesa irachena porta su di sé le ferite per i sacerdoti uccisi dall'estremismo
e dalla ferocia di gruppi fondamentalisti locali. Tra tutti ricordiamo mons. Paulos
Rahho, arcivescovo caldeo di Mosul, rapito il 29 febbraio 2008 e ritrovato senza vita
il 12 marzo. Un “atto di violenza disumana che offende la dignità dell'essere umano”
disse il Papa in occasione dei funerali del presule. Ma la speranza in chi è fuggito
e in chi è rimasto, nonostante le immani difficoltà, non è svanita. Lo riferisce mons.
Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad:
R.
– Vogliamo che ci siano la pace e la sicurezza, perché senza, i cristiani o gli iracheni
che hanno lasciato il Paese non avranno nessuna garanzia. Noi speriamo che la pace
e la sicurezza siano un motivo per farli rientrare, perché lì non vivono bene.
D.
– Il fatto che la Chiesa sia stata anche colpita duramente nei suoi rappresentanti,
che cosa lascia oggi?
R. – Certamente, è una cosa
impressionante e molto dolorosa. Il popolo, quando un prete o un vescovo vengono uccisi
si sente demoralizzato.
Mons. Warduni ha poi anche
detto che all’Iraq “la democrazia non può essere imposta: ci vuole un'educazione alla
democrazia”. Un compito, questo, a carico di chi oggi controlla il Paese del Golfo.
I due presuli hanno partecipato ieri, insieme con mons. Matti Matoka, arcivescovo
siro-cattolico di Baghdad, e mons. Georges Casmoussa, arcivescovo siro-cattolico di
Mosul, alla presentazione, nella sede della Radio Vaticana, del documentario “Iraq
– SOS rifugiati”, realizzato da Elisabetta Valgiusti: immagini e testimonianze emblematiche
di una situazione per ora senza via d’uscita. Nel dibattito, alla presenza di un’attenta
platea, mons. Matoka ha esortato la comunità internazionale a contribuire affinché
ci sia “una popolazione irachena che viva in pace”. “Prendeteci il petrolio ma lasciateci
il nostro Paese”, ha ribadito mons. Warduni. Nel corso del dibattito è stato
poi espresso l’auspicio che presto possa tenersi un Sinodo Speciale sulla situazione
dei cristiani in Medio Oriente, per sensibilizzare l'intera Chiesa Cattolica al dramma
delle comunità cristiane dei luoghi dell'Antico e del Nuovo Testamento che rischiano
l'estinzione.