Caso Englaro. Il cardinale Poletto invita i medici cattolici all'obiezione di coscienza
La clinica 'La Quiete' di Udine deciderà la prossima settimana se accogliere Eluana
Englaro per sospendere alimentazione e idratazione artificiale, che, però, secondo
il ministro del Welfare Sacconi sono un dovere. Sulla vicenda, stamattina, era intervenuto
il cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino, secondo il quale “i medici cattolici
che si trovassero a lavorare nell'ospedale dove si intende interrompere l'alimentazione
di una persona, dovrebbero obiettare e rifiutarsi di farlo”. Alessandro Guarasci ha
sentito il parere del presidente dell’Associazione Medici Cattolici, Vincenzo Saraceni:
R.
– Io ho avuto già modo di dire che l’autonomia professionale dei medici comincia proprio
con la libertà di coscienza, e quindi con la possibilità di esercitare quest’obiezione
nei confronti di tutto ciò che è contrario alla coscienza. Quindi, io non ho alcun
dubbio che, in casi come questo, in cui è in gioco la vita del paziente, il medico
possa esercitare l’obiezione di coscienza.
D. – Dunque,
la legge di Dio – come dice il cardinale – prevale sulla legge umana, quando questa
è cattiva...
R. – Sì, ma ritengo che, in questo caso,
legge divina e legge umana – perlomeno così come è presente nella nostra Costituzione
– dicano la stessa cosa: la vita umana non è disponibile, quindi nessuno ne può disporre
a piacimento. Quindi credo che, in questo caso, ci sia una perfetta coincidenza su
quella che è la legge di Dio e quello che è il punto di approdo di una cultura bimillenaria
che è sempre stata a difesa dalla vita.
D. – Quest’appello
può, in qualche modo, fare breccia anche nei cuori dei medici che però non sono credenti?
R.
– Ecco, proprio questo dicevo: siccome ritengo che questa cultura di difesa della
vita sia scritta nel cuore degli uomini – e quindi anche nel cuore della professione
sanitaria - io ritengo che possa essere accolta da tutti.
D.
– Come risponde a chi dice che bisogna rispettare la volontà del padre di Eluana?
R.
– Bisogna rispettare la volontà del paziente; questo è un valore – diciamo così –
che sta emergendo nella nostra cultura. In questo caso, però – quello di Eluana Englaro
– è in gioco un sostegno vitale, non una cura, e quindi probabilmente su questa non
c’è un’autodeterminazione da rispettare.
D. – Questo
comunque, secondo Lei, vuol dire che bisognerà arrivare, prima o poi, ad una legge
sul fine-vita?
R. – Io ritengo di sì. Ecco, credo
che sarebbe preoccupante e sarebbe peggio se su queste cose decidessero i giudici;
è bene che si metta mano con una legge: anche se non sarà facile, bisognerà trovare
un punto di sintesi equilibrato. Ritengo che sia necessario.