Incontro del Comitato ecumenico europeo per le relazioni con l'islam: necessario un
trialogo ebrei-cristiani-musulmani
Aiutare le Chiese e le religioni ad incontrarsi nel quotidiano: è l’obiettivo che
in quattro anni di lavoro si è proposto il Comitato per le relazioni con i musulmani
in Europa, riunito a Monaco di Baviera, in Germania. L’organismo, voluto dal Consiglio
delle Conferenze episcopali d’Europa (cattolico) e dalla Conferenza delle Chiese europee
(che riunisce le chiese ortodosse, protestanti e anglicane), in questa seduta termina
il suo mandato e a breve renderà noto un documento con le sue conclusioni. Ma quali
argomenti hanno interessato il Comitato ecumenico in questi giorni? Tiziana Campisi
lo ha chiesto ad uno dei membri, padre Claudio Monge, superiore della comunità
domenicana di Istanbul:
R. –
Non possiamo dimenticare che in questo momento ci troviamo in una fase caratterizzata
da un’attualità molto particolare, che è quella del conflitto mediorientale, che appunto
si è di nuovo acceso. Purtroppo un Comitato che si trova due volte all’anno non può
intervenire sulla stretta attualità; può riflettere sugli avvenimenti per vedere che
cosa ci lasciano questi avvenimenti, su quali piste si deve continuare a lavorare,
quali sono – eventualmente – i suggerimenti che possiamo dare alle diverse Chiese
per un lavoro in continuità sul territorio, nei posti dove, appunto, credenti di fedi
diverse vivono nel quotidiano e si incontrano nel quotidiano. Quello che sta succedendo
in questi giorni conferma ancora una volta il fatto che ci sono – soprattutto in Europa
– delle polarizzazioni immediate, le reazioni sono spesso molto ideologiche; sofferenze
– anche spesso passate – emergono in tutta la loro importanza, e allora ci rendiamo
conto, ancora di più, di come non è solo la questione strettamente legata alle religioni,
ma sono problematiche enormi da un punto di vista sociale, economico, politico, che
si intersecano.
D. – Come guardare alle emergenze
attuali?
R. – Questa situazione particolare, che
viviamo in questo momento, conferma il fatto che è molto difficile occuparsi di islam
in Europa e di dialogo cristiano-islamico senza tener conto del fattore ebraico. E
questo dobbiamo anche un po’ denunciarlo come una nostra mancanza; è fondamentale
prendere in seria considerazione anche la questione del “trialogo”, e non semplicemente
del dialogo.
D. – Ci sono dei frutti che ha dato
il lavoro del Comitato per le relazioni con i musulmani in Europa?
R.
– La coscienza del fatto che, sempre di più, dobbiamo lavorare, fianco a fianco, con
dei partner musulmani, anche nel lavoro teorico di riflessione sui problemi e su come
si può avanzare nella loro soluzione. Abbiamo avuto alcune fasi, alcuni momenti –
soprattutto nella seconda parte del nostro mandato – in cui ai nostri incontri sono
stati invitati dei partner musulmani, degli interlocutori; lavorare in questi campi
vuol dire “lavorare con”. Si può costruire qualcosa nella misura in cui veramente
fianco a fianco si continua a lavorare, per avere anche un’incidenza molto maggiore
nelle nostre rispettive comunità, su quello che noi facciamo; ecco, per evitare che
sia un dialogo d’élite, un dialogo di sapienti, diciamo così, o di addetti ai lavori,
ma che tocchi veramente il quotidiano.
D. – Lei vive
in Turchia; quale esperienza ha di dialogo con i musulmani?
R.
– Se esiste un dialogo possibile tra musulmani e cristiani, è veramente il dialogo
della fiducia costruita giorno dopo giorno, nell’incontro anche più banale di quartiere;
incontro che dà il giusto posto alle due parti, sottolineando il loro aspetto di credenti.
Quello che veramente ci fa avanzare e ci dà speranza per il futuro è l’incontro del
quotidiano per costruire fiducia e accoglienza reciproca, nella differenza delle nostre
fedi, che deve rimanere tale, che dev’essere presa sul serio, anche perché non c’è
dialogo senza alterità, senza differenza.