2009-01-19 14:59:33

I cristiani di Terra Santa impegnati a costruire ponti tra ebrei e musulmani


In Terra Santa “c’è spazio per tutti”: le parole del Papa, ieri all’Angelus, hanno sottolineato che c’è sempre tempo e spazio per la pace, anche quando la speranza sembra mortificata. Questo impegno per il dialogo e la riconciliazione viene portato avanti con coraggio dalla piccola comunità cristiana della Terra Santa. Al microfono di Philippa Hitchen, del nostro programma inglese, la testimonianza di mons. William Shomali, rettore del seminario cattolico di Beit Jala, vicino a Betlemme:RealAudioMP3


R. – Noi crediamo nell’importanza del dialogo, sia interreligioso sia ecumenico. Noi siamo veramente al centro di questo problema, perché viviamo in mezzo a due blocchi maggioritari: i cristiani ed i musulmani in Palestina e gli ebrei in Israele. Siamo obbligati – nel senso buono della parola – ad essere uomini di dialogo; se non lo siamo, noi diventiamo un ghetto e sarà la nostra fine. Dunque, siamo piccoli, ma il fatto di accettare di essere ponte fra due realtà, due culture, due religioni, due civilizzazioni, sarà forse la nostra forza e, più della forza, la nostra vocazione.

 
D. – Tornando indietro, alla questione dell’emigrazione: emigrando i cristiani c’è il rischio che questa terra rimanga priva di cristiani. Nell’ottica di quello che diceva poco fa - cioè i cristiani chiamati a fare da ponte – quanto rischia, questa terra, di restare senza cristiani?

 
R. – Eravamo il 10% all’inizio del XX secolo, ora siamo il 2%. Dunque, il rischio esiste, perché passare da due a zero manca poco, lo sappiamo, ma dobbiamo lottare, convincere i nostri cristiani che è una vocazione rimanere qui, non una fatalità. Secondo: anche se siamo diventati il 2%, il nostro numero, come 2%, è più alto di quando eravamo il 10%. Adesso con i cattolici della Terra Santa e con la Giordania siamo vicini a 400 mila. C’è sempre il Signore con noi, anche se siamo un piccolo gregge, ma non dobbiamo sentirci abbandonati; un atto di fede dobbiamo farlo.

 
D. – Che cosa rischierebbe il Medio Oriente se i cristiani non ci fossero?

 
R. – La prima cosa: in Palestina ci sarebbe lo scontro fra gli ebrei e i musulmani. Noi facciamo veramente da ponte, perché con gli ebrei abbiamo l’Antico Testamento, con i musulmani la cultura araba e la lingua, dunque possiamo veramente aiutare al dialogo, e dopo noi cristiani abbiamo qualcosa di particolare, il perdono, e sapete quanto questa terra ha bisogno della cultura del perdono: vediamo quello che capita a Gaza. Quando non c’è perdono, ci possiamo aspettare il peggio.







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