2009-01-16 13:12:51

Il cardinale Bertone: "declinare in modo corretto la mutua collaborazione fra la Chiesa e lo Stato”


Si svolge oggi e domani a Roma un Convegno promosso dal Cesen, il Centro Studi sugli Enti Ecclesiastici, sul tema “Santa Sede, Conferenze episcopali, Stati: esperienze di Paesi dell’Unione Europea”. Il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha inviato per l’occasione un messaggio in cui afferma la necessità di “declinare in modo corretto la mutua collaborazione fra la Chiesa e lo Stato nel rispetto della rispettiva sovranità”. Il porporato auspica che l’Unione Europea “rispetti lo status di cui godono negli Stati membri dell’Unione le Chiese e le comunità ecclesiali” e “riconosca l’identità e il contributo specifico che queste ultime presentano, mantenendo con esse un dialogo istituzionale regolare. Anche questo – ha aggiunto – è nella linea della plurisecolare tradizione dell’Europa e costituisce un portato che, frutto anche di lotte e sofferenze, non può essere disperso”. Ma come sono cambiati dopo il Concilio Vaticano II i rapporti tra Santa Sede e Stati? Sergio Centofanti lo ha chiesto al prof. Giorgio Feliciani direttore del Cesen:RealAudioMP3


R. – Contrariamente a quanto si è sostenuto in un primo periodo postconciliare, da parte di alcuni studiosi, non è assolutamente vero che il Vaticano II sia stata la tomba dei Concordati. Certo, questa tesi ha una parte di verità nel senso che sicuramente il Vaticano II ha – con i suoi insegnamenti – archiviato un certo modello di Concordato, cioè ha introdotto un nuovo modello. Nuovo modello che risponde ad alcuni, precisi principi conciliari: il primo principio è sicuramente quello che la Chiesa non potrà chiedere o accettare privilegi che, in qualunque modo, limitino la libertà religiosa di altre confessioni religiose o di cittadini, e d’altro canto il Concilio insiste decisamente su una drastica riduzione dei privilegi che la Chiesa accordava agli Stati, in particolare nel campo delle nomine dei vescovi. Un altro elemento di novità molto significativo è che, come conseguenza della valorizzazione dell’episcopato operata dagli insegnamenti conciliari, viene ora lasciato spazio agli episcopati locali per intervenire nei rapporti con gli Stati. Quindi non si hanno solo rapporti di vertice tra la Santa Sede e i governi, ma anche i rapporti che intercorrono tra la conferenza episcopale e gli Stati, secondo modalità che variano da Paese a Paese.
 
D. – Oggi si parla tanto di laicità dello Stato; ecco, cosa ci può dire in proposito?
 
R. – Se per laicità dello Stato si intende il fatto che la Chiesa e lo Stato sono – ciascuno nel suo ordine – indipendenti e sovrani, come dice la nostra Costituzione repubblicana – per inciso, nell’articolo 7 – e come del resto aveva già detto Leone XIII nell’enciclica “Immortale Dei”, ovviamente questo è un dato che fa parte della dottrina cattolica sui rapporti con gli Stati. Se invece per laicità dello Stato si intende che lo Stato dev’essere indifferente – o addirittura ostile – nei confronti del fenomeno religioso, perché il fenomeno religioso, in quanto tale, è irrilevante per lo Stato, certamente su questo non possiamo essere d’accordo. Ma su questo non è d’accordo neanche la nostra Corte Costituzionale.
 
D. – Cosa dire degli interventi degli episcopati in materia politica; pensiamo a questioni di giustizia sociale, immigrazioni, famiglia, bioetica, vita. Per alcuni, la Chiesa non dovrebbe parlare…
 
R. – Il Concilio ha riconosciuto alla Chiesa un diritto e un dovere di testimonianza, e di dare quindi il suo giudizio in ciò che riguarda la materia temporale, tutte le volte che siano in gioco la libertà della Chiesa e i diritti della persona umana. E d’altro canto, in un regime democratico, la Chiesa ha diritto di parlare come hanno diritto di parlare perlomeno tutti i cittadini.







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