Il cardinale Bertone: "declinare in modo corretto la mutua collaborazione fra la Chiesa
e lo Stato”
Si svolge oggi e domani a Roma un Convegno promosso dal Cesen, il Centro Studi sugli
Enti Ecclesiastici, sul tema “Santa Sede, Conferenze episcopali, Stati: esperienze
di Paesi dell’Unione Europea”. Il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha
inviato per l’occasione un messaggio in cui afferma la necessità di “declinare in
modo corretto la mutua collaborazione fra la Chiesa e lo Stato nel rispetto della
rispettiva sovranità”. Il porporato auspica che l’Unione Europea “rispetti lo status
di cui godono negli Stati membri dell’Unione le Chiese e le comunità ecclesiali” e
“riconosca l’identità e il contributo specifico che queste ultime presentano, mantenendo
con esse un dialogo istituzionale regolare. Anche questo – ha aggiunto – è nella linea
della plurisecolare tradizione dell’Europa e costituisce un portato che, frutto anche
di lotte e sofferenze, non può essere disperso”. Ma come sono cambiati dopo il Concilio
Vaticano II i rapporti tra Santa Sede e Stati? Sergio Centofanti lo ha chiesto
al prof. Giorgio Feliciani direttore del Cesen:
R. –
Contrariamente a quanto si è sostenuto in un primo periodo postconciliare, da parte
di alcuni studiosi, non è assolutamente vero che il Vaticano II sia stata la tomba
dei Concordati. Certo, questa tesi ha una parte di verità nel senso che sicuramente
il Vaticano II ha – con i suoi insegnamenti – archiviato un certo modello di Concordato,
cioè ha introdotto un nuovo modello. Nuovo modello che risponde ad alcuni, precisi
principi conciliari: il primo principio è sicuramente quello che la Chiesa non potrà
chiedere o accettare privilegi che, in qualunque modo, limitino la libertà religiosa
di altre confessioni religiose o di cittadini, e d’altro canto il Concilio insiste
decisamente su una drastica riduzione dei privilegi che la Chiesa accordava agli Stati,
in particolare nel campo delle nomine dei vescovi. Un altro elemento di novità molto
significativo è che, come conseguenza della valorizzazione dell’episcopato operata
dagli insegnamenti conciliari, viene ora lasciato spazio agli episcopati locali per
intervenire nei rapporti con gli Stati. Quindi non si hanno solo rapporti di vertice
tra la Santa Sede e i governi, ma anche i rapporti che intercorrono tra la conferenza
episcopale e gli Stati, secondo modalità che variano da Paese a Paese. D.
– Oggi si parla tanto di laicità dello Stato; ecco, cosa ci può dire in proposito? R.
– Se per laicità dello Stato si intende il fatto che la Chiesa e lo Stato sono – ciascuno
nel suo ordine – indipendenti e sovrani, come dice la nostra Costituzione repubblicana
– per inciso, nell’articolo 7 – e come del resto aveva già detto Leone XIII nell’enciclica
“Immortale Dei”, ovviamente questo è un dato che fa parte della dottrina cattolica
sui rapporti con gli Stati. Se invece per laicità dello Stato si intende che lo Stato
dev’essere indifferente – o addirittura ostile – nei confronti del fenomeno religioso,
perché il fenomeno religioso, in quanto tale, è irrilevante per lo Stato, certamente
su questo non possiamo essere d’accordo. Ma su questo non è d’accordo neanche la nostra
Corte Costituzionale. D. – Cosa dire degli interventi degli
episcopati in materia politica; pensiamo a questioni di giustizia sociale, immigrazioni,
famiglia, bioetica, vita. Per alcuni, la Chiesa non dovrebbe parlare… R.
– Il Concilio ha riconosciuto alla Chiesa un diritto e un dovere di testimonianza,
e di dare quindi il suo giudizio in ciò che riguarda la materia temporale, tutte le
volte che siano in gioco la libertà della Chiesa e i diritti della persona umana.
E d’altro canto, in un regime democratico, la Chiesa ha diritto di parlare come hanno
diritto di parlare perlomeno tutti i cittadini.