Il cardinale Bertone: riscoprire il senso del peccato per non cadere nell'oppressione
dei sensi di colpa
Con la prolusione del penitenziere maggiore, il cardinale James Stafford, si è aperto
ieri pomeriggio a Roma il Simposio sul tema “La Penitenzieria Apostolica e il Sacramento
della Penitenza. Percorsi storici-giuridici-teologici e prospettive pastorali”. Stamani
è stato letto l’intervento del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, che
non ha potuto presenziare all'evento per partecipare a Città del Messico, quale Legato
pontificio, all’Incontro mondiale delle famiglie. Accanto ad un excursus storico sul
riordino della struttura della Penitenzeria voluto da Benedetto XIV, nel XVIII secolo,
il porporato ha sottolineato quanto urgente sia oggi approfondire il valore del Sacramento
della Penitenza per “formare le coscienze al senso del peccato” ed “aiutarle a non
cadere nell’oppressione dei sensi di colpa”. Il servizio di Tiziana Campisi:
Attratto
sempre più nel mondo virtuale, l’uomo contemporaneo “non riesce a distinguere il vero
dal falso, il bene dal male e questo lo conduce a un relativismo culturale ed etico
banalizzante gli atteggiamenti della vita”: è l’analisi offerta dal cardinale Tarcisio
Bertone nella sua relazione dove non sono mancati i riferimenti a quanto detto recentemente
da Benedetto XVI sul “senso del peccato”, che “oggi pare si sia perso”. E se si registra
un aumento dei complessi di colpa, forse manca la consapevolezza che solo l’amore
di Dio può liberare “il cuore degli uomini da questo giogo di morte”, e che il sacerdote,
nel Sacramento della Confessione, è strumento di questo amore misericordioso di Dio”
quando lo invoca nella formula dell’assoluzione dei peccati.
Per “veicolare
… oggi i concetti di peccato e di perdono”, aggiunge il porporato “lo sforzo dell’evangelizzazione”
deve essere “quello di far incontrare gli uomini e le donne con Cristo”, far “sperimentare
… la potenza redentrice della sua Parola che è Via, Verità e Vita”. Impegno della
Chiesa deve essere quello “di far percepire la gioia del perdono che si comunica nel
Sacramento della Riconciliazione, detto pure Sacramento della gioia”. “Formare le
coscienze al senso del peccato significa aiutarle a non cadere nell’oppressione dei
sensi di colpa che appesantiscono tante umane esistenze – si legge nella relazione
del porporato – ma a sapere che l’amore infinito del Padre celeste può restituire
pace anche ai cuori più lacerati”.
Per il cardinale
Bertone “accogliere il perdono di Dio consente all’uomo di rinvenire la riuscita integrale
della propria esistenza, e la nuova comunione con Dio è il rinnovamento dell’umanità,
liberata dai vincoli del male”; “il frutto della riconciliazione divina esige però
da parte dell’uomo la libera e responsabile accoglienza. Il perdono di Dio antecede
e consente l’accettazione alla quale ciascun uomo viene personalmente chiamato”. Ma
“colui che è già stato perdonato - avverte il cardinale Bertone – deve considerare
se stesso come ancora sempre da salvare, nel senso che dev’essere ancora sempre da
guarire”, perché “l’accoglimento del dono della salvezza e della sua radicale gratuità
non distrugge il ricordo e quindi lo sviluppo della storia con il suo passato. Piuttosto
lo guarisce liberando la memoria dal peso del debito costituito dalla colpa”.
Infine
il porporato esorta a “comprendere meglio l’importanza della penitenza e dell’indulgenza”,
è ciò per prepararci all’incontro con Dio; “il nostro pellegrinaggio terreno”, infatti,
“prima di approdare al Cielo”, assai probabilmente “passerà per il Purgatorio” e il
percorso penitenziale ha il compito di accrescere il desiderio di Dio e del suo amore.
Ma qual è ai giorni nostri la consapevolezza che
i cristiani hanno del Sacramento della Penitenza? Lo abbiamo chiesto al prof.
Angelo Maffeis, docente della Facoltà teologica per l’Italia settentrionale
di Milano: R. – Per molti cristiani, ha perso plausibilità
questo Sacramento; nella loro vita cristiana sembrano sentirne molto meno il bisogno.
Questo, in certa misura, mostra che la riforma liturgica, che a partire dal Vaticano
II è stata elaborata, non ha raggiunto pienamente i suoi obiettivi e quindi la riflessione,
che anche in questi giorni si sta compiendo, vorrebbe cercare di restituire al Sacramento
della Penitenza la sua comprensibilità per il popolo cristiano. Questa è forse la
questione più importante che oggi ci troviamo ad affrontare.
D.
– Il Concilio Vaticano II ha dato delle indicazioni, proprio a proposito del Sacramento
della Penitenza …
R. – Soprattutto due indicazioni.
La prima, relativa alla riforma del rito della penitenza e la seconda indicazione,
relativa alla dimensione ecclesiale della penitenza che è riconciliazione con Dio
ma anche riconciliazione con la comunità.
D. – Vogliamo
spiegare quali relazioni oggi esistono fra il Sacramento della Penitenza e la Penitenzieria
Apostolica?
R. – La Penitenzieria Apostolica è un
tribunale che si occupa soprattutto delle questioni relative al foro interno, cioè
di quei peccati che sono riservati alla Santa Sede. Mi pare che sia segno della comunione
ecclesiale: in fondo, la penitenza è riconciliazione con Dio ma anche riconciliazione
con la Chiesa. Qui si tocca come la Chiesa abbia una sua dimensione di comunione universale,
strutturata anche giuridicamente. Quindi questo cammino di conversione con la riparazione,
con la penitenza che è necessaria, significa anche recuperare la piena comunione con
la Chiesa.
D. – Confessione individuale ma anche
confessione che può riguardare più persone all’interno di una celebrazione particolare:
questo oggi è possibile?
R. – Sì: la riforma liturgica
della penitenza ha previsto tre forme rituali, cioè la forma individuale, con l’assoluzione
del singolo penitente da parte del confessore, la forma comunitaria, cioè una celebrazione
liturgica comunitaria, all’interno della quale si colloca poi la confessione individuale
dei peccati e l’assoluzione personale; e infine, per casi eccezionali, quando la
forma personale non sia possibile, c’è la possibilità di una liturgia comunitaria
con l’assoluzione comunitaria.