I frutti del cammino neocatecumenale: messi in luce dal Papa nel discorso per i 40
anni della prima comunità a Roma
“La vostra presenza così folta e animata sta a testimoniare i prodigi operati dal
Signore nei trascorsi 4 decenni”. Così il Papa nel discorso rivolto ieri pomeriggio
ai circa 25 mila membri del Cammino neocatecumenale presenti nella Basilica vaticana
per i 40 anni della prima comunità nata a Roma. I frutti, in questi anni, del Cammino
neocatecumenale sono stati presentati a Benedetto XVI dagli iniziatori Kiko Argüello
e Carmen Hernandez. Presente anche padre Mario Pezzi, membro dell’Équipe responsabile
internazionale del Cammino neocatecumenale. Il servizio di Debora Donnini.
(canto)
Gioia
e canti hanno accompagnato l’ingresso del Papa nella Basilica vaticana salutato dalle
migliaia di persone accalcate alle transenne. Famiglie in missione nelle zone più
scristianizzate del mondo, presbiteri, comunità che andranno in altre parrocchie.
Sono i frutti del Cammino neocatecumenale presentati ieri a Benedetto XVI. “Il Papa,
Vescovo di Roma, vi ringrazia - ha detto il Pontefice – per il generoso servizio
che rendete all’evangelizzazione di questa Città e per la dedizione con cui vi prodigate
per recare l’annuncio cristiano in ogni suo ambiente”.
“Come
non benedire il Signore per i frutti spirituali che, attraverso il metodo di evangelizzazione
da voi attuato, si sono potuti raccogliere in questi anni? Quante fresche energie
apostoliche sono state suscitate sia tra i sacerdoti che tra i laici! Quanti uomini
e donne, e quante famiglie, che si erano allontanate dalla comunità ecclesiale o avevano
abbandonato la pratica della vita cristiana, attraverso l’annuncio del kerigma e l’itinerario
di riscoperta del Battesimo sono state aiutate a ritrovare la gioia della fede e l’entusiasmo
della testimonianza evangelica!”.
Ricordata
poi l’approvazione degli Statuti.
“La recente
approvazione degli Statuti del ‘Cammino’ è venuta a suggellare la stima e la benevolenza
con cui la Santa Sede segue l’opera che il Signore ha suscitato attraverso i vostri
Iniziatori”.
Tutto ebbe inizio qui a Roma 40
anni or sono, ha ricordato Benedetto XVI. E infatti l’occasione dell’incontro è stato
proprio l’anniversario della prima comunità della parrocchia dei Martiri Canadesi,
dove è iniziato il Cammino a Roma: comunità presente con i suoi circa 50 membri e
i 100 figli. “So con quanto zelo stiano operando le comunità del Cammino Neocatecumenale
in ben 103 parrocchie di Roma. Mentre vi incoraggio a proseguire in questo impegno,
vi esorto ad intensificare la vostra adesione a tutte le direttive del Cardinale Vicario,
mio diretto collaboratore nel governo pastorale della Diocesi”. “L’inserimento organico
del ‘Cammino’ nella pastorale diocesana e la sua unità con le altre realtà ecclesiali
– ha aggiunto – torneranno a beneficio dell’intero popolo cristiano, e renderanno
più proficuo lo sforzo della Diocesi teso ad un rinnovato annuncio del Vangelo in
questa nostra Città”. Ricordato dal Papa anche il frutto rappresentato dai tanti sacerdoti,
“una vera primavera di speranza per la comunità diocesana di Roma e per la Chiesa!”
e ribadito il mandato missionario.
“Le parole
di Gesù, riferiteci dall’evangelista san Matteo, risuonano come un invito a non scoraggiarci
dinanzi alle difficoltà, a non ricercare umani successi, a non temere incomprensioni
e persino persecuzioni. Incoraggiano piuttosto a porre la fiducia unicamente nella
potenza di Cristo, a prendere la propria croce e a seguire le orme del nostro Redentore,
che in questo tempo natalizio ormai al termine, ci è apparso nell’umiltà e nella povertà
di Betlemme”.
Durante l’incontro Kiko Argüello
ha presentato le varie realtà presenti: oltre alla prima comunità della parrocchia
dei Martiri Canadesi di Roma, le oltre 200 famiglie che andranno in tutto il mondo
per annunciare il vangelo, 500 sono già partite; i 700 itineranti che hanno aperto
nel mondo l’esperienza del Cammino; le nuove 15 missio ad gentes, che si aggiungono
alle 7 già partite. La missio ad gentes è costituita da un gruppo di 3 o 4 famiglie
con numerosi figli e un presbitero che si potrebbero definire come una cappellania
missionaria. Andranno a vivere in città scristianizzate della Germania e di altri
Paesi così come fra gli aborigeni australiani. Infine le 15 comunità di Roma che hanno
terminato l’itinerario e andranno in parrocchie alla periferia della capitale con
situazioni sociali difficili, come ci spiega lo stesso Kiko Argüello.
“E anche pensiamo che oggi sia un evento storico
per la Chiesa, perché è la prima volta nel Cammino che le comunità che hanno finito
un lungo periodo di preparazione, di riscoperta del battesimo, si offrono alla Chiesa
per partire ed evangelizzare le zone più difficili”.
Un
incontro di gioia e ringraziamento, dunque, come testimonia il canto finale del Te
Deum.
(canto) Roberto
Piermarini ha chiesto all’iniziatore del Cammino neocatecumenale Kiko
Arguello, cosa ha rappresentato per la Chiesa universale in questi 40 anni
questa esperienza ecclesiale
R. – La cosa più
importante è l’iniziazione cristiana che si apre nelle parrocchie, come un itinerario
di ritorno per i lontani dalla Chiesa. Oggi, di fronte a tutta la secolarizzazione
e al cambiamento globale del mondo, pensiamo sia molto importante aiutare i cristiani
nelle parrocchie perché abbiano una fede più adulta. Questo credo che sia molto importante
per la Chiesa.
D. – L’approvazione degli Statuti,
lo scorso anno, ha dato nuovo impulso al Cammino Neocatecumenale?
R.
– Senza dubbio è stato per noi una conferma meravigliosa: dopo tante sofferenze, dopo
tanto lavoro in tutto il mondo, alla fine siamo stati riconosciuti dalla Santa Sede
come una modalità diocesana di iniziazione cristiana, messa al servizio dei vescovi;
uno strumento per la nuova evangelizzazione.
D. –
Come è nata l’ispirazione di inviare nelle parrocchie, alla periferia di Roma, comunità
che hanno terminato il loro itinerario neocatecumenale?
R.
– Possiamo dire che noi non abbiamo progettato nulla, siamo sempre un poco come i
figli di Abramo che la lascia la sua terra e sempre segue il piano di Dio. Anche noi
ci troviamo a seguire gli eventi che Dio sta preparando. Per esempio, la prima volta
che si è realizzata una cosa simile è stata a Parigi quando l’allora cardinale Lustiger,
nominò parroco il presbitero della comunità neocatecumenale della parrocchia molto
borghese di “Saint’Honoré de l’eau”, in una zona completamente piena di extracomunitari
di Parigi, e anche in un ambiente di prostitute, di transessuali, nella parrocchia
della “Bonne Nouvelle”. Trovando difficoltà a mandare lì altri preti, perché in quella
parrocchia non c’erano praticamente cattolici e visto che la parrocchia era molto
difficile, chiese alla comunità neocatecumenale di Saint-Honoré di accompagnare il
loro presbitero alla “Bonne Nouvelle”. All’inizio, noi non abbiamo capito questa richiesta,
ma poi abbiamo visto che è stato provvidenziale perché i fratelli hanno trovato un
appartamento vicino a quella zona, hanno iniziato ad annunciare il Vangelo nelle case
e oggi la parrocchia è rifiorita: hanno più di sette comunità con molti lontani, eccetera.
Questo, da un lato. Il secondo evento è stato che noi a Roma abbiamo parrocchie che
hanno 28 comunità, 25 comunità, una cosa enorme, e ci sono altre parrocchie in cui
i presbiteri si trovano in difficoltà soprattutto perché sono pieni di migranti. Abbiamo
pensato che forse è arrivato il momento, come dice il Vangelo, che “chi ha due tuniche
ne dia una a chi non c’è l’ha” e che le parrocchie che hanno molte comunità, ne avrebbero
potuto inviare alcune per aiutare queste parrocchie in periferia. E così, abbiamo
radunato i parroci, abbiamo radunato i responsabili e tutti erano completamente d’accordo.
Abbiamo parlato con il cardinale vicario Vallini, che è stato molto contento, e anche
con il Santo Padre. E adesso, abbiamo già le prime 14 comunità che partono per le
zone più difficili di Roma. E questo “esperimento missionario” lo stanno aspettando
anche in tante altre parti del mondo: anche a Madrid ci sono molte periferie piene
di migranti e se non si aiutano questi migranti, sono presi dalle sette o sono attratti
dall’ambiente completamente secolarizzato.
D. – In
San Pietro verranno inviati anche 14 “Missio ad gentes”. Si inizia a vedere anche
qualche frutto della missione “ad gentes” nelle zone più scristianizzate d’Europa?
R.
– Il Papa ha inviato le prime sette “Missio ad gentes” due anni fa; abbiamo pensato,
per esempio, alla città dell’ex DDR, Germania dell’Est, ex-comunista, che si chiamava
“Karl-Marx-Stadt”, e che oggi è tornata a chiamarsi “Chemnitz”, che è un esempio di
quello che ha fatto il comunismo. Anche dopo la caduta del Muro di Berlino la verità
qual è? Che oggi è una città senza lavoro, è tutto un fallimento. Ma la cosa più terribile
è che 70 anni di comunismo hanno distrutto la fede: in quasi tutte le parrocchie protestanti
– in maggioranza luterane - oggi non c’è quasi nessuno, e nemmeno nelle parrocchie
cattoliche. Perché in questa città il 98% della gente non è battezzata. Abbiamo scelto
Chemnitz per questo. Abbiamo parlato con il vescovo cattolico che è stato molto contento
dell’aiuto che avremmo dato. Abbiamo fondato due “Missio ad gentes”. Cosa vuol dire:
“Missio ad gentes”? E’ una forma nuova della presenza della Chiesa, non è esattamente
una parrocchia ma è quasi come una parrocchia: è una missione. E la bellezza di questa
missione è che non si parte dal tempio, ma si parte, come la Chiesa primitiva, da
una comunità cristiana come il tempio di Cristo, come il corpo di Cristo risorto.
Sono partite quelle famiglie che hanno già concluso il percorso neocatecumenale, piene
di figli adulti, e tutti loro hanno accettato di cambiare università, casa, e andare
in queste zone così difficili. Visitano le case, predicano per le strade, annunziano
il kerygma e invitano la gente nelle proprie case ad “scrutare” la Parola di Dio,
a conoscere Gesù Cristo e siamo molto contenti di come vanno le cose. Troviamo gente
poverissima, gente distrutta, divorziata, gente alcolizzata… c’è una situazione, in
Europa, catastrofica. La secolarizzazione sta portando ad un’apostasia totale e la
gente che ha perso la fede è in una situazione di difficoltà grandissima. Così abbiamo
voluto una “Missio ad gentes” anche ad Amsterdam. Il vescovo di Amsterdam ha voluto
questa esperienza, in una città satellite alla periferia della città completamente
nuova, fatta sulla carta, dove non c’è nessuna presenza di chiesa. Anche nel Sud della
Francia, i vescovi del Sud della Francia, il vescovo di Avignone, di Montpellier,
di Toulon, hanno voluto altre “Missio”, e siamo contenti: e lo sono anche i fratelli
che sono lì i quali ripetono che stare in missione, anche se si soffre, è la cosa
più bella e più grande della vita!
D. – Quale contributo
danno le famiglie in missione alla nuova evangelizzazione nelle diocesi dove vengono
inviate su richiesta dei vescovi? Ne verranno inviate dal Papa oltre 200, di queste
famiglie …
R. – Abbiamo tantissime famiglie già in
missione, circa 700; tutti dicono grazie alle famiglie ed anche i vescovi – che le
hanno richieste - restano impressionati del fatto che le famiglie, con tutti i figli,
lasciano le loro comodità, le loro case, il lavoro, la macchina, e partano per zone
completamente nuove, senza conoscere la lingua. In Cina, per esempio, abbiamo più
di 50 famiglie. Lì ci dicono i vescovi che senza le famiglie sarebbe stato impossibile
evangelizzare, perché le famiglie aprono la strada a Gesù Cristo, perché la famiglia
dà una vera testimonianza in quanto comunione di persone e immagine della Santissima
Trinità. Questa è una cosa enorme! Anche le comunità in missione mostrano quello che
dice Cristo: “Come il Padre ha inviato me, così io invio voi. Come tu Padre, sei in
me e io in te, siano anch’essi in noi un cosa sola, perché il mondo creda che tu mi
hai mandato”. Cioè arrivare a che una comunità viva la perfetta unità che c’è nella
Trinità: questa è la testimonianza che sta aspettando il mondo.
Commozione
e gioia sono stati espressi dai membri del Cammino Neocatecumenale all’indomani dell’incontro
con il Papa. Ascoltiamo ora alcune testimonianze rappresentative delle diverse realtà
presenti: una famiglia missionaria, una persona che assieme alla sua comunità si sposterà
in un’altra parrocchia nei quartieri più difficili delle periferie romane e infine
una coppia che appartiene alla prima comunità dei Martiri Canadesi che, come abbiamo
ricordato, compie 40 anni di Cammino. Le interviste sono di Debora Donnini.
D. –
Andrea e Gina, voi avete nove figli e da circa due anni state facendo questa Missio
ad gentes a Chemnitz, in Germania, dove circa il 95 per cento della popolazione non
è battezzata. Come si svolge concretamente la vostra missione di annuncio del Vangelo?
R.
– I compagni dei nostri figli vengono a casa nostra, parlano dei loro problemi e noi
li aiutiamo: così si realizza, per fare un esempio, un primo contatto. Poi facciamo
una missione concreta: andiamo per le strade o nelle case. Anche attraverso questi
contatti abbiamo avuto incontri con le persone.
D.
– Gina, voi avete tra l’altro lasciato la vostra vita a Roma, per lanciarvi in un’esperienza
forte, anche della Provvidenza di Dio?
R. – Sì, questa
della Provvidenza è un’esperienza quotidiana: quando arrivi al punto in cui dici “Guarda,
sicuramente non veniamo fuori da questo problema”, invece c’è sempre non solo la soluzione
del problema economico o di crisi di un figlio, ma c’è sempre il ‘di più’, cioè questo
sperimentare che veramente c’è il centuplo.
D. –
Massimo Savarese, lei fa parte di una comunità di Roma che lascerà la parrocchia per
andare ad aiutare un’altra parrocchia, che si trova nelle periferie della capitale.
Come vivete questa esperienza di missione che è scomoda da un punto di vista umano?
R.
– In parte è una scomodità e in parte è un’avventura. L’avventura è che una comunità
fatta in gran parte da persone anziane si trasferisca per portare la buona notizia.
Tengo moltissimo alla nostra parrocchia dei Martiri Canadesi e a lasciarla mi piange
il cuore, perché c’è tutta una vita dietro. Lo facciamo volentieri, però, per amore
della Chiesa e del Papa che ci manda. Noi speriamo di portare la speranza di un futuro
migliore su questa terra e nell’altra. Il futuro migliore è sapere che Dio ci ama
e provvede alla nostra vita.
D. – Pino e Beatrice
Manzari, voi appartenete alla prima comunità dei Martiri Canadesi che appunto compie
40 anni. Pino, lei è stato il primo a conoscere Kiko quando viveva nelle baracche
a Roma e a portarlo proprio nella parrocchia dei Martiri Canadesi. Per lei è stato
importante vedere questa esperienza della comunità cristiana, a partire proprio da
un ascolto profondo della Parola di Dio?
R. – Chi
ascolta la sua Parola comincia a sentire che è importante per Cristo, che è importante
per la Chiesa, che in lui si svolge un’azione dello Spirito Santo, che si dimostra
nell’amore dei fratelli, di persone molto diverse anche dal punto di vista culturale,
sociale… Tutte le differenze sono la forma con cui la comunità diventa immagine dell’opera
di Dio.
D. – E per lei Beatrice, cosa ha significato
questo incontro 40 anni fa?
R. – Quando abbiamo incontrato
Kiko e Carmen mi ha colpito questo annuncio che ci hanno fatto della vittoria di Cristo
sulla morte e su tutte le morti degli uomini che sconcertano, che tolgono forza a
qualsiasi possibilità di cambiare le cose. Ecco di fronte a quell’annuncio uno crede
e le cose cambiano. All’improvviso, quando ti senti senza speranza, senza prospettive,
ti si apre un mondo che è insospettato.