Con la celebrazione del rito del “Cry die”, ossia “fine del lutto”, l’Africa ricorda
oggi Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, scomparsa il 14 marzo scorso.
Per l’occasione a Fontem, in Camerun, è prevista la presenza di oltre 10 mila persone
appartenenti a diverse tribù, insieme alle autorità civili e religiose della regione
africana. Una solenne cerimonia segnerà inoltre il passaggio del titolo di “Mafua
Ndem” e cioè “Regina inviata da Dio” conferito a Chiara nel 2000, alla nuova presidente
dei Focolari, Maria Voce. L'amicizia tra il Movimento e il popolo Bangwa è cominciata
oltre 40 anni fa e ha dato vita ad una cittadella in cui convivono in armonia cristiani
e seguaci delle religioni tradizionali legati dalla volontà comune di vivere secondo
l'amore evangelico. Ma che valore ha la celebrazione del “Cry die”? Al microfono di
Adriana Masotti, Martin Nkafu, nativo di Fontem e professore di cultura,
pensiero e religione africani nelle Pontificie Università Lateranense e Gregoriana
di Roma:
R.
– Ha un valore di consegna definitiva alla vita eterna per il compianto; quindi il
popolo, con questo atto che viene fatto a tutte le persone affinché possano essere
ricordate, invocate e pregate, in questo modo vengono consegnate come antenati, cioè
come i santi della tradizione del popolo.
D. –Ma che
cosa significa il fatto che il popolo Bangwa dichiari, tra i suoi antenati, una donna
bianca, cristiana, come Chiara Lubich?
R. – La storia
di Chiara Lubich con il popolo Bangwa non è di oggi, c’è una grande affinità; è un
ricordo maturato nel tempo, per quanto Chiara è stata per il popolo, cosicché non
possono fare a meno di ricordarla, perché è una di loro, quindi non è bianca per i
Bangwa, quanto una persona, un modello di vita, di carità, di amore.
D.
– Il primo contatto del Movimento dei focolari con questo popolo, risale ad oltre
40 anni fa, e i primi sono stati dei medici ad andare a Fontem; però non è stato subito
facile tra Bangua ed occidentali, nonostante le buone intenzioni...
R.
– Si, ma come potrebbe avvenire in qualsiasi incontro tra una cultura e l’altra, non
potrebbe andare tutto liscio. Il miracolo di Fontem è proprio questo: attraverso le
esperienze di convivenza, promosse dal Movimento, si va creando un popolo nuovo in
cui ognuno ha un suo posto, anzi, quelle differenze che prima sembravano essere ostacoli,
diventano ricchezze, che compongono quel mosaico del popolo nuovo – così l’ha definito
Chiara – nato dal Vangelo. Immaginate dei capi di tribù che vengono a chiedere ai
cristiani di venire a raccontare loro del Vangelo: questa è una novità.
D.
– Quindi i rapporti all’interno di questo popolo, fra le tribù e anche con i popoli
dei villaggi vicini, è improntato all’amore evangelico; ma che cos’è che ha spinto
questa domanda: raccontateci del Vangelo?
R. – In Africa,
l’evangelizzazione e la promozione umana vanno di pari passo, quindi qui non si può
parlare della salvezza senza dar da mangiare a coloro che ne hanno bisogno. Gli africani
sono concreti, talmente concreti che nessun messaggio teorico gli interessa; quindi,
bisogna vivere, bisogna vivere il Vangelo, in quel caso tutti son pronti ad ascoltarlo.
D.
– Che cosa ha rappresentato invece – e rappresenta ancora oggi – per il Movimento
dei focolari, questa ricca esperienza africana?
R. –
Io credo che il Movimento si trovi a vivere un’esperienza che non ha mai pensato prima.
Chiara stessa quando era qui a Fontem, in diversi momenti, ha prospettato:“Qui sorgerà
una città, in cui tutti correranno a vedere come si fa ad amare”. Quindi penso che
è un’esperienza in corso, dove pian piano matura sempre di più il cristiano, cioè
il popolo nuovo, che vive la legge del Vangelo, e questo rinnova necessariamente la
società.