A Betlemme, l'arrivo dei vescovi del "Coordinamento" per la Terra Santa. Intervista
con l'arcivescovo di Liverpool, Patrick Kelly
Mentre a Gasa si combatte, giungono oggi a Betlemme per il loro annuale pellegrinaggio
i vescovi membri del “Coordinamento di Conferenze episcopali a sostegno della Terra
Santa”, un organismo creato nel 1998 su richiesta della Santa Sede e guidato dalla
Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles. I presuli del Coordinamento si incontrano
ogni anno a gennaio in Terra Santa per prendere parte a celebrazioni di preghiera
e portare solidarietà ai cristiani del posto, con un'attenzione speciale quest'anno
per la comunità ecclesiale di Gaza. L'inviata della nostra redazione inglese a Betlemme,
Philippa Hitchen, ne ha parlato con uno dei partecipanti all'incontro, l'arcivescovo
di Liverpool, Patrick Kelly, che sottolinea la particolare drammaticità che accompagna
in questa occasione il viaggio dei vescovi:
R. – It
is indeed. And although it is not the first time… Lo è davvero. E anche
se non è la prima volta, questa è chiaramente una delle nostre esperienze più drammatiche.
Eravamo stati lì già una volta, quando l’Intifada era al suo culmine, e un giorno
siamo stati molto vicini ad una bomba esplosa a Gerusalemme. Ma penso che, proprio
per il fatto che la situazione è così inquietante in questo momento, sia doppiamente
importante che da altre parti del mondo alcuni di noi vengano per accompagnare e assistere
i propri fratelli in Terra Santa. D. – Ci sarà chi sostiene
che è incosciente andare nel mezzo di una tale violenza. Ha paura per la sicurezza
dei leader della Chiesa che andranno lì? R. – I don’t think
so. … Non penso. Sappiamo che in tutti questi anni di difficoltà e di preoccupazione,
mentre ci sono stati inconvenienti e qualche volta lunghi ritardi in realtà non ha
mai sofferto per nessuno di questi eventi. E sono convinto nel dire che anche se non
facessimo niente altro - se il nostro viaggio dovesse essere abbreviato - saremo lì
per pregare insieme e questa è la testimonianza più forte che noi possiamo dare. Io
penso spesso alla storia di Nostro Signore, che ha raggiunto il suo apice a Gerusalemme:
alla fine cosa è stato? Egli si è abbandonato a quella che aveva definito “Provvidenza”:
conservò la pazienza, la fiducia fino alla fine. E io credo che questa testimonianza
debba continuare a vivere ed essere annunciata. E quando a volte si può fare poco,
sarà la luce di quella testimonianza a brillare. D. - C’è certamente
una fiorente attività politica e diplomatica che procede nel tentativo di negoziare
un altro cessate-il-fuoco tra israeliani e i palestinesi. Pensa che i leader religiosi
possano giocare una ruolo per la fine di questa violenza? R.
- I think we’ve got to be very honest … Penso che dobbiamo esser molto onesti
su che cosa possiamo o non possiamo fare. E penso sia importante sapere che i leader
religiosi possono sempre portare una parola capace di risollevare al di sopra della
violenza. Suppongo, alla fine, che una parola che sarà centrale, come succede in tutti
i conflitti, è quella essenziale del perdono. Spesso, quando rifletto su storie molto
vicine a noi, penso che uno dei momenti cruciali nella storia dell’Irlanda fu quando
una bomba fece crollare un muro che uccise la figlia di Gordon Wilson. Lui raccontava:
“Mentre tenevo la sua mano, lei mi disse: ‘Papà, ti voglio bene’. In quel momento
- lui disse - perdonai a chi aveva compiuto l’attentato”. Quello fu uno dei momenti
di svolta. E penso che, anche per la Terra Santa, non si tratta tanto di cercare di
avere una voce politica o esercitare il potere, ma è creando un diverso tipo di contatto
che i leader religiosi possono svolgere un certo ruolo.