2009-01-09 14:29:44

A Betlemme, l'arrivo dei vescovi del "Coordinamento" per la Terra Santa. Intervista con l'arcivescovo di Liverpool, Patrick Kelly


Mentre a Gasa si combatte, giungono oggi a Betlemme per il loro annuale pellegrinaggio i vescovi membri del “Coordinamento di Conferenze episcopali a sostegno della Terra Santa”, un organismo creato nel 1998 su richiesta della Santa Sede e guidato dalla Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles. I presuli del Coordinamento si incontrano ogni anno a gennaio in Terra Santa per prendere parte a celebrazioni di preghiera e portare solidarietà ai cristiani del posto, con un'attenzione speciale quest'anno per la comunità ecclesiale di Gaza. L'inviata della nostra redazione inglese a Betlemme, Philippa Hitchen, ne ha parlato con uno dei partecipanti all'incontro, l'arcivescovo di Liverpool, Patrick Kelly, che sottolinea la particolare drammaticità che accompagna in questa occasione il viaggio dei vescovi:RealAudioMP3

R. – It is indeed. And although it is not the first time…
Lo è davvero. E anche se non è la prima volta, questa è chiaramente una delle nostre esperienze più drammatiche. Eravamo stati lì già una volta, quando l’Intifada era al suo culmine, e un giorno siamo stati molto vicini ad una bomba esplosa a Gerusalemme. Ma penso che, proprio per il fatto che la situazione è così inquietante in questo momento, sia doppiamente importante che da altre parti del mondo alcuni di noi vengano per accompagnare e assistere i propri fratelli in Terra Santa.
 
D. – Ci sarà chi sostiene che è incosciente andare nel mezzo di una tale violenza. Ha paura per la sicurezza dei leader della Chiesa che andranno lì?
 
R. – I don’t think so. …
Non penso. Sappiamo che in tutti questi anni di difficoltà e di preoccupazione, mentre ci sono stati inconvenienti e qualche volta lunghi ritardi in realtà non ha mai sofferto per nessuno di questi eventi. E sono convinto nel dire che anche se non facessimo niente altro - se il nostro viaggio dovesse essere abbreviato - saremo lì per pregare insieme e questa è la testimonianza più forte che noi possiamo dare. Io penso spesso alla storia di Nostro Signore, che ha raggiunto il suo apice a Gerusalemme: alla fine cosa è stato? Egli si è abbandonato a quella che aveva definito “Provvidenza”: conservò la pazienza, la fiducia fino alla fine. E io credo che questa testimonianza debba continuare a vivere ed essere annunciata. E quando a volte si può fare poco, sarà la luce di quella testimonianza a brillare.
 
D. - C’è certamente una fiorente attività politica e diplomatica che procede nel tentativo di negoziare un altro cessate-il-fuoco tra israeliani e i palestinesi. Pensa che i leader religiosi possano giocare una ruolo per la fine di questa violenza?
 
R. - I think we’ve got to be very honest …
Penso che dobbiamo esser molto onesti su che cosa possiamo o non possiamo fare. E penso sia importante sapere che i leader religiosi possono sempre portare una parola capace di risollevare al di sopra della violenza. Suppongo, alla fine, che una parola che sarà centrale, come succede in tutti i conflitti, è quella essenziale del perdono. Spesso, quando rifletto su storie molto vicine a noi, penso che uno dei momenti cruciali nella storia dell’Irlanda fu quando una bomba fece crollare un muro che uccise la figlia di Gordon Wilson. Lui raccontava: “Mentre tenevo la sua mano, lei mi disse: ‘Papà, ti voglio bene’. In quel momento - lui disse - perdonai a chi aveva compiuto l’attentato”. Quello fu uno dei momenti di svolta. E penso che, anche per la Terra Santa, non si tratta tanto di cercare di avere una voce politica o esercitare il potere, ma è creando un diverso tipo di contatto che i leader religiosi possono svolgere un certo ruolo.







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