Don Massimo Camisasca ci parla del suo nuovo libro "Una voce nella mia vita"
“Una voce nella mia vita”: è il titolo del nuovo libro di don Massimo Camisasca, tratto
dal primo verso di una poesia di Pascoli. Il superiore generale della Fraternità Sacerdotale
dei Missionari di San Carlo Borromeo ricorda in questo volume che nella vita di tutti,
anche se non ce ne accorgiamo, c’è una voce che ci chiama: è la voce di Dio che ci
invita a diventare realmente noi stessi. Ascoltiamo lo stesso don Massimo Camisasca
al microfono di Rosario Tronnolone:
R.
– In questo primo verso della poesia di Pascoli io ho trovato la chiave per andare
a rileggere l’Antico e il Nuovo Testamento e soprattutto per andare a rileggere alcune
figure in cui la vita è abitata da una voce, cominciando da Adamo, poi Abramo, poi
i profeti, i giudici, fino ad arrivare agli apostoli. D. – Perché
ha scelto proprio queste figure per parlare appunto della vocazione? R.
– Perché sono quelle che hanno colpito direttamente me, soprattutto attraverso la
frequentazione con don Giussani. Per esempio, Abramo, certamente è la figura dell’Antico
Testamento che don Giussani ha più evocato, non solo commentato ma proprio evocato,
con cui lui stesso si è immedesimato e con cui ha immedesimato noi. Tutte le mattine
e tutte le sere, quando nel Benedictus e nel Magnificat torna l’evocazione di Abramo,
allora io ripenso sempre alla sua storia che è la mia storia; non è un caso che Abramo
viene chiamato padre, in tutti e due i testi. Questo uscire dalla terra, questo dover
uscire continuamente dalle solidificate certezze, in cui io voglio rifugiarmi e seguire
invece Dio che mi apre sempre a nuovi territori, a nuovi spazi di vita, questo andare
dove ancora Lui non mi dice ma dove mi svela a poco a poco, questa grande promessa
di una generazione infinita come le stelle del Cielo, questo sacrificio del figlio
che Dio chiede ad Abramo, insomma, sono una storia che in realtà raccoglie ed anticipa
la nostra storia. D. – “Disponibilità” è il titolo della seconda
parte del volume. Questa seconda parte si apre parlando dei limiti, parlando delle
obiezioni: sono obiezioni che rischiano di fermare il cammino dell’uomo, rischiano
di inficiare la sua riuscita? R. – Per seguire Dio, dobbiamo
essere disposti realmente a lasciarci continuamente, diciamo così, cambiare casa,
a lasciare continuamente allargare il nostro cuore, a lasciare continuamente ampliare
le nostre prospettive. La strada della vocazione non è la strada dei perfetti; sì,
noi siamo perfetti in quanto battezzati, in quanto battezzati siamo il segno della
volontà di salvezza di Dio, però, nello stesso tempo, siamo anche, fino all’ultimo
giorno, perfettibili e malati e cioè bisognosi di essere guariti. Perciò, è un cammino
di guarigione quello che Dio opera con noi, e la vocazione è il curvarsi di Dio su
di noi perché Lui ha pietà della nostra miseria. D. – Lei poi
introduce il concetto della povertà di spirito e l’accomuna al dono di sé. Che cos’è
la povertà di spirito? R. – La povertà di spirito è lasciarsi
riempire da un altro, lasciarsi completamente arricchire dal dono dell’altro che è
possibile soltanto, veramente e compiutamente con Dio perché solo Lui mi ha creato
e mi salva, solo Lui mi conosce, solo Lui riempie la mia vita senza spossessarmi veramente
di me stesso ma anzi, rendendomi a me stesso. E’ il paradosso di cui parla Gesù: chi
si perde si salva, chi si perde si trova, chi avrà donato la sua vita la ritroverà
moltiplicata. (Montaggio a cura di Maria Brigini)