Non si ferma l'attacco israeliano a Gaza: colpita anche una moschea
Su Gaza granate israeliane: nel primo pomeriggio è entrata in azione l’artiglieria,
mentre i carri armati si stanno muovendo verso il confine. Almeno 16 palestinesi sono
rimasti uccisi in un bombardamenti su una moschea a Jabalya. Dall’esercito nessuna
informazione, mentre fonti ospedaliere denunciano che i morti sono saliti a oltre
430, i feriti circa 2300. In serata l'esercito ha sferrato l'operazione di terra.
Servizio di Graziano Motta Ma
quali saranno le prossime mosse di Israele e cosa ha ottenuto finora l’operazione
“Piombo fuso”? Luca Collodi lo ha chiesto a Janiki Cingoli, direttore
del Centro italiano per la pace in Medio Oriente:
R. –
La situazione è che l'attacco via aria ha ottenuto, grossomodo, quello che poteva
ottenere. Adesso si può arrivare ad uccidere qualcuno dei leader militari – come si
sta facendo – e questo è un segnale preciso alla leadership di Hamas che potrebbe
esserci in questo un’escalation. Tuttavia, di fatto, oggi Israele è di fronte ad un
dilemma: se iniziare un’operazione di terra o no. Il problema è che se iniziano un’operazione
di terra, il rischio è quello da un lato di avere molte perdite, e dall’altro di provocare
anche molte perdite civili, perché si tratta di una zona non come quella in Libano
in cui la popolazione aveva abbandonato la città, si era rifugiata in campagna; lì,
a Gaza, ci sono moltissime persone, non saprebbero dove andare, e quindi le vittime
civili potrebbero essere estremamente elevate, soprattutto nei campi dei rifugiati.
E questo, ovviamente, potrebbe anche erodere quel po’ di consenso internazionale che
l’operazione “Piombo fuso” ha potuto inizialmente avere, perché vista come reazione
al continuo lancio di razzi e di missili da parte di Hamas.
D.
– La Lega Araba sembra divisa sul giudizio da dare alla vicenda di Gaza...
R.
– Sì, non è semplicemente divisa; è qualche cosa di più. Il problema è che, in questo
momento, l’offensiva israeliana viene utilizzata da Hamas come attacco diretto ai
regimi arabi moderati e in particolare al regime egiziano di Mubarak. Il fatto che
ci siano state queste manifestazioni dei fratelli musulmani al Cairo – che chiedevano
l’apertura dei valichi di confine con Gaza che invece Mubarak non vuole perché mancherebbe
il controllo di Abu Mazen e della ANP – ci fa ricordare che Hamas è un’affiliazione
diretta dei fratelli musulmani, quindi c’è una componente interna al mondo sunnita
– che è quella di Hamas e dei fratelli musulmani che non sono sciiti ma sunniti –
ma c’è un’alleanza tra questa componente più estremista del mondo sunnita con la componente
sciita che fa capo all’Iran, tendente a rimettere in discussione gli attuali equilibri
di potere all’interno del mondo arabo.
D. – Potremmo
dire che il Paese che rischia di più, in questo momento, è l’Egitto; Egitto che è
sotto, diciamo così, tra virgolette, attacco dell’integralismo islamico...
R.
– Sì, e occorre capire una cosa: che se oggi, in Egitto, si votasse liberamente, è
molto probabile che i fratelli musulmani avrebbero la maggioranza.