Lettera di Giorgio Napolitano al Papa: condivido l'urgenza di politiche che restituiscano
dignità ai poveri. La riflessione di mons. Valentinetti
Una lettera di “vivo apprezzamento” per la “profondità, umana vicinanza e senso di
speranza” con le quali Benedetto XVI - in particolare nel suo Messaggio per la Giornata
mondiale della pace di ieri - ha valutato la piaga della povertà e la crisi economica
mondiale. Ad inviarla ieri al Papa è stato il presidente della Repubblica italiana,
Giorgio Napolitano, che in modo analogo al Pontefice rimarca anch'egli la necessità
di politiche in grado di “migliorare il livello di vita di quanti - scrive - in numero
intollerabilmente elevato, rimangono ai margini dei processi di sviluppo economico''.
Una sintonia, quella con Benedetto XVI, che il capo dello Stato italiano ha ribadito
oggi da Napoli, affermando: “Con il Pontefice parliamo da tribune diverse ma con un
linguaggio necessariamente affine”. E sui modi di affrontare "l'iniqua povertà" evidenziata
dal Papa si sofferma anche l'arcivescovo di Pescara-Penne, Tommaso Valentinetti,
presidente di "Pax Christi", al microfono di Fabio Colagrande:
R. -
Credo che mai come in questo momento, dobbiamo tenere presente che la povertà è una
realtà che non si può assolutamente dimenticare. Il sud del mondo ed il nord del mondo
si confrontano, ma ancora una volta a emergere è la realtà di alcune categorie di
persone che vivono la dimensione del disagio. Allora la pace è un bene grande, soprattutto
un bene che nasce anche da una tranquillità di vita, da una tranquillità in cui ogni
persona può avere accesso ad alcuni diritti fondamentali - e mi riferisco anche alla
possibilità di mangiare tutti i giorni. Da questo punto di vista, i popoli del cosiddetto
"terzo" e "quarto" mondo - che hanno diritti negati - talvolta possono diventare serbatoio
di violenza, di conflitti, ai quali poi si fa fatica a guardare perché non li vogliamo
vedere. Si tratta di conflitti, ancora una volta, dimenticati, ma potrebbero diventare
anche serbatoi di terrorismo, di reazioni violente. Già nella Populorum progressio,
Paolo VI affermava questo principio: che l’equa distribuzione delle risolse naturali,
l’equa distribuzione della ricchezza sulla faccia della terra, era il nome della pace,
perché lo sviluppo donato a tutti i popoli potesse essere il nome della pace. Non
faceva altro che anticipare, già da qualche anno, la tematica che ora Benedetto XVI
ha voluto fare sua, concludendo il testo del messaggio in maniera molto chiara. Resta
infatti, incontestabilmente vero, l’assioma secondo il quale combattere la povertà
è costruire la pace.
D.- Il Papa, in un paragrafo,
ricorda che, dal punto di vista morale, merita particolare attenzione la relazione
esistente tra disarmo e sviluppo. In altre parole, la pace si costruisce investendo
sullo sviluppo e non investendo nelle armi...
R.
- Nel primo messaggio che Benedetto XVI pubblicò, appena eletto Papa, toccò subito
questo argomento del disarmo. Gli armamenti sottraggono energie e risorse a quegli
altri due aspetti importanti che vengono toccati nel documento: l’accesso alle tecnologie
- che sia sempre più possibile per i Paesi che en sono sprovvisti - e la non speculazione
sulle modalità di cura delle persone, ovvero la possibilità della cura di malattie
che stanno diventando attualmente delle pandemie. Il Papa cita anche la problematica
dell’AIDS come attenzione che i popoli sviluppati devono avere nei confronti dei popoli
poveri.