Aperto a Castel Gandolfo il quinto Congresso internazionale per seminaristi organizzato
dal Movimento dei focolari
I sogni e le sfide di chi, oggi, sceglie di diventare sacerdote. Il tema dell’affettività
non repressa e il rischio di assumere una mentalità da “singles ecclesiastici”.
Ma anche la dimensione comunitaria della vita sacerdotale e il progetto di costituire
una rete unita. Sono gli argomenti al centro del quinto Congresso internazionale per
seminaristi promosso dal Movimento Gens dei Focolari, che si apre oggi a Castel Gandolfo.
Roberta Barbi ne ha parlato con il prof. Hubertus Blaumeiser, responsabile
del Centro sacerdotale dei Focolari e consultore della Congregazione per l’educazione
cattolica:
R. -
La prima cosa che è emersa dal Congresso è che, a livello mondiale, ci sono alcune
costanti comuni: per esempio, tutti i seminaristi vogliono da un lato servire Dio
e dall’altro servire gli altri. La loro aspirazione è essere dei sacerdoti aperti
al mondo di oggi, alle altre persone, e persone che portano il Vangelo con un contributo
per la costruzione della società. Ci sono anche alcuni timori, legati alle sfide della
società odierna: la domanda “riuscirò a portare il messaggio del Vangelo?”, ma anche
la domanda “riuscirò a essere sempre fedele in questo cammino?”. D.
- Lei non è particolarmente preoccupato dal calo delle vocazioni, ma ha parlato di
maggior consapevolezza dei seminaristi nella scelta: che modello è Gesù per i sacerdoti
di domani? R. - Gesù è l’uomo, innanzitutto. L’uomo che vive
per gli altri perché pienamente radicato in Dio. Anzi, Gesù è Dio in persona. Noi
siamo chiamati, oggi, ad essere persone così radicate profondamente in Dio, ma anche
totalmente aperte agli altri, come Gesù. D. - Cosa si intende
per seminario "scuola del Vangelo”? R. - I seminari, come si
sa, sono nati dopo il Concilio di Trento per assicurare una solida formazione dei
sacerdoti. Il seminario non è un luogo, ma è un itinerario di vita, è una continuazione
- soprattutto della comunità apostolica - intorno a Gesù, in ascolto della sua parola. D.
- Oggi i seminari sono organizzati per unità abitative tipo famiglie: è un modo per
sottolineare la chiamata come vocazione comunitaria? R. - Sì.
Noi siamo in questo tempo della Chiesa comunione, e il Concilio Vaticano II ha rimesso
in luce questa dimensione fondamentale della Chiesa, così adatta per il mondo di oggi.
Allora, il sacerdote non può non essere - ancora di più oggi - uomo di comunione:
uno che sa costruire una realtà così, uno che si incammina insieme con i suoi fratelli
cristiani a portare questo messaggio, questa vita al mondo. D.
- Uno dei temi principali del Congresso è la sfida dei rapporti. In che senso il sacerdote
è l’uomo dei rapporti profondi? R. - In molteplici sensi. L’espressione
è di un autore francese: il sacerdote è l’uomo posto come ministro tra Dio e gli uomini.
Quindi è, innanzitutto, l’uomo del rapporto profondo con Gesù, l’uomo che vive immerso
in Dio, nella Trinità, e quindi nell’unione con Dio. Ma anche l’uomo aperto su tutti,
il servo di tutti come Gesù, che ha detto: “Non sono venuto per essere servito ma
per essere al servizio di tutti, per dare la vita per tutti”. Il sacerdote è l’uomo
della comunione nella comunità cristiana, in comunione col vescovo, con gli altri
sacerdoti, con i laici e con le varie realtà presenti nella Chiesa: i carismi, i vari
movimenti e le aggregazioni.