2009-01-02 14:28:35

Aperto a Castel Gandolfo il quinto Congresso internazionale per seminaristi organizzato dal Movimento dei focolari


I sogni e le sfide di chi, oggi, sceglie di diventare sacerdote. Il tema dell’affettività non repressa e il rischio di assumere una mentalità da “singles ecclesiastici”. Ma anche la dimensione comunitaria della vita sacerdotale e il progetto di costituire una rete unita. Sono gli argomenti al centro del quinto Congresso internazionale per seminaristi promosso dal Movimento Gens dei Focolari, che si apre oggi a Castel Gandolfo. Roberta Barbi ne ha parlato con il prof. Hubertus Blaumeiser, responsabile del Centro sacerdotale dei Focolari e consultore della Congregazione per l’educazione cattolica:RealAudioMP3


R. - La prima cosa che è emersa dal Congresso è che, a livello mondiale, ci sono alcune costanti comuni: per esempio, tutti i seminaristi vogliono da un lato servire Dio e dall’altro servire gli altri. La loro aspirazione è essere dei sacerdoti aperti al mondo di oggi, alle altre persone, e persone che portano il Vangelo con un contributo per la costruzione della società. Ci sono anche alcuni timori, legati alle sfide della società odierna: la domanda “riuscirò a portare il messaggio del Vangelo?”, ma anche la domanda “riuscirò a essere sempre fedele in questo cammino?”.
 
D. - Lei non è particolarmente preoccupato dal calo delle vocazioni, ma ha parlato di maggior consapevolezza dei seminaristi nella scelta: che modello è Gesù per i sacerdoti di domani?
 
R. - Gesù è l’uomo, innanzitutto. L’uomo che vive per gli altri perché pienamente radicato in Dio. Anzi, Gesù è Dio in persona. Noi siamo chiamati, oggi, ad essere persone così radicate profondamente in Dio, ma anche totalmente aperte agli altri, come Gesù.
 
D. - Cosa si intende per seminario "scuola del Vangelo”?
 
R. - I seminari, come si sa, sono nati dopo il Concilio di Trento per assicurare una solida formazione dei sacerdoti. Il seminario non è un luogo, ma è un itinerario di vita, è una continuazione - soprattutto della comunità apostolica - intorno a Gesù, in ascolto della sua parola.
 
D. - Oggi i seminari sono organizzati per unità abitative tipo famiglie: è un modo per sottolineare la chiamata come vocazione comunitaria?
 
R. - Sì. Noi siamo in questo tempo della Chiesa comunione, e il Concilio Vaticano II ha rimesso in luce questa dimensione fondamentale della Chiesa, così adatta per il mondo di oggi. Allora, il sacerdote non può non essere - ancora di più oggi - uomo di comunione: uno che sa costruire una realtà così, uno che si incammina insieme con i suoi fratelli cristiani a portare questo messaggio, questa vita al mondo.
 
D. - Uno dei temi principali del Congresso è la sfida dei rapporti. In che senso il sacerdote è l’uomo dei rapporti profondi?
 
R. - In molteplici sensi. L’espressione è di un autore francese: il sacerdote è l’uomo posto come ministro tra Dio e gli uomini. Quindi è, innanzitutto, l’uomo del rapporto profondo con Gesù, l’uomo che vive immerso in Dio, nella Trinità, e quindi nell’unione con Dio. Ma anche l’uomo aperto su tutti, il servo di tutti come Gesù, che ha detto: “Non sono venuto per essere servito ma per essere al servizio di tutti, per dare la vita per tutti”. Il sacerdote è l’uomo della comunione nella comunità cristiana, in comunione col vescovo, con gli altri sacerdoti, con i laici e con le varie realtà presenti nella Chiesa: i carismi, i vari movimenti e le aggregazioni.







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