2008-12-18 15:16:14

Sono 200 milioni i migranti nel mondo


Sensibilizzare la società sulla tutela e l’importanza dei lavoratori immigrati: questo l’obiettivo dell’odierna Giornata Internazionale dei Migranti, sancita dalle Nazioni Unite nel 2000. L’evento ricorda l’approvazione della Convenzione Onu sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri della loro famiglia, avvenuta il 18 dicembre 1990. Ma qual è, oggi, il contributo degli immigrati alla società? Isabella Piro lo ha chiesto a mons. Piergiorgio Saviola, direttore generale della Fondazione Migrantes: RealAudioMP3

R.- Sul piano economico, il contributo più vistoso per il loro Paese di origine, è la trasmissione di rimesse. Quanto agli immigrati, è più che scontato che in un’Italia che sta rapidamente invecchiando, in cui sono sempre meno le forze giovani che possono immettersi nel mondo del lavoro, questi lavoratori che vengono da lontano, sono non soltanto preziosi ma indispensabili, pensiamo soprattutto al settore della collaborazione familiare, colf e badanti. Se siamo convinti che una società multiculturale, interculturale comporti dei grandi vantaggi, questo passaggio da una monocultura ad un pluralismo culturale lo dobbiamo soprattutto all’immigrazione. Questi vantaggi, però, non scattano automaticamente: ci si deve aprire con coraggio e lungimiranza a questa realtà nuova. Chiusura significherebbe non soltanto isolamento, rifiuto di incontro, ma tensione e scontro.

 
D. – Quanti sono, all’incirca, i migranti nel mondo e quali le zone in cui si muovono più frequentemente?

 
R. – Secondo i dati dell’Onu, oggi sono abbondantemente superati i 200 milioni, pari a quasi ad un terzo della popolazione mondiale. Se però si tiene conto che gli effetti delle migrazioni rimbalzano fortemente sui familiari che rimangono nella loro terra, possiamo dire che il mondo migratorio coinvolge una cifra che va oltre il mezzo miliardo. Tra i migranti, poi, va fatta particolare attenzione a quelli che lasciano la loro terra non per sole ragioni economiche e per sfuggire la fame, decine di milioni di richiedenti asilo e rifugiati che scappano - come la Sacra Famiglia - per sfuggire la spada di tanti “erodi” attuali. Area di partenza di queste masse, sono per lo più Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, i Paesi della povertà, della fame, della lotta per la sopravvivenza; aree di destinazione sono i Paesi economicamente più sviluppati, anzitutto la nostra Europa occidentale, il Nord America, in particolare gli Stati Uniti.

 
D. – Come evitare la paura del “diverso” e i pregiudizi sullo “straniero”?

 
R. – Per noi cristiani, la prima cosa è prendere in mano il Vangelo e ripensare alla fraternità universale in Cristo, all’unico Padre nei Cieli, alla universalità cioè alla cattolicità della Chiesa. La rimozione della paura e di conseguenza l’accoglienza sono leggi fondamentali di vita cristiana. C’è un Padre e quindi, noi, ci dobbiamo sentire tutti fratelli.

 
D. - Dal punto di vista normativo e sociale, cosa occorre per migliorare la situazione?

 
R. – Con realismo. C’è da prendere atto che in un campo così complesso come la migrazione, in cui si devono armonizzare esigenze e valori spesso contrapposti, attendersi una legge perfetta, è pura utopia. Si tratterrà sempre di un compromesso che non può soddisfare in pieno; naturalmente tanti passi in avanti si potrebbero fare se la migrazione non fosse come è oggi, un terreno su cui contendere fra forze politiche opposte e se ci si sedesse insieme attorno ad un tavolo, guardando non ad interessi di parte ma all’interesse della nostra società e dei migranti che ospitiamo. Dal punto di vista sociale, occorre essere più civili, più umani, più indipendenti da strumentalizzazioni ideologiche e politiche. In una parola, occorre autocritica e conversione.







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