2008-12-18 15:10:06

L'Osservatore sulle accuse di Fini alla Chiesa per le leggi razziali: "approssimazione storica e meschino opportunismo politico"


“Sorprende e amareggia il fatto che uno degli eredi politici del fascismo – che dell'infamia delle leggi razziali fu unico responsabile e dal quale pure da tempo egli vuole lodevolmente prendere le distanze - chiami ora in causa la Chiesa cattolica. Dimostrando approssimazione storica e meschino opportunismo politico.” Così l’Osservatore Romano commenta nell’edizione di ieri, le accuse nei confronti della Chiesa contenute nel recente discorso del presidente della Camera dei deputati italiana, Gianfranco Fini, pronunciato martedì scorso in occasione di un convegno per il 70.mo anniversario dell'introduzione delle leggi razziali in Italia. “L’ideologia fascista – ha detto Fini – non spiega da sola l’infamia. Anche la società italiana si è adeguata alla legislazione antiebraica. Salvo talune luminose eccezioni, non sono state registrate manifestazioni particolari di resistenza – ha detto ancora – nemmeno da parte della Chiesa cattolica”. Tra i tanti storici che hanno dissentito dal presidente della Camera, il prof. Matteo Luigi Napolitano, docente di storia delle relazioni internazionali all’Università del Molise e delegato internazionale del Pontificio comitato di Scienze Storiche, il quale spiega al microfono di Luca Collodi perché vanno contestate queste affermazioni contro la Chiesa: RealAudioMP3

R. – Vanno contestate perché la resistenza della Santa Sede si attuò in diverse forme con atteggiamento sempre critico, non solo nei confronti della legislazione razziale italiana, ma anche nei confronti della legislazione razziale di tutti gli Stati – Germania in testa – che avevano sistemi dittatoriali, che avevano adottato una legislazione antisemita. E ciò è particolarmente vero anche durante la seconda guerra mondiale. Ma, per restare al rapporto con l’Italia, vediamo che si tratta di un atteggiamento che la Sede Apostolica attua nei confronti della deriva razzista italiana già quando si ha sentore che queste leggi razziali saranno varate. Il 2 luglio del 1938, “L’Osservatore Romano” riporta il giudizio del Papa sul significato di “cattolico”, che vuol dire “universale” e che vuol dire detestare lo spirito di separatismo e di esasperato nazionalismo che allora proprio, nel 1938, è imperante. Il rappresentante italiano a Washington – il 20 ottobre 1938 – ci dice chiaramente che la parola papale è un elemento che sta dissolvendo le simpatie in favore del fascismo dei cattolici americani, che adesso fanno di tutt’erba un fascio, cioè includono Italia, Germania e Russia in un tutt’unico detestabile, discriminando e conculcando le libertà dei cittadini, e naturalmente dev’essere assolutamente criticata. Abbiamo una documentazione molto più vasta che ci consente poi di analizzare la parola papale, analizzare l’atteggiamento diplomatico, anche, della Segreteria di Stato: perché questo è importante! E vedere che c’è un tutt’unico, una continuità di azione tra il massimo vertice – appunto, il Pontefice – e i suoi collaboratori.

 
D. – Quindi possiamo dire che Pio XI si batté in ogni modo su questo punto, anche accusando l’Italia di seguire in ogni modo i tedeschi su strade sbagliate – il riferimento era alla legislazione anti-ebraica?

 
R. – Assolutamente sì! Pio XI ad un certo punto ha anche degli sfoghi di disappunto nei confronti di Mussolini con i suoi collaboratori e si chiede come mai l’Italia debba andare a imitare il nazismo, su queste cose. Non c’era alcun bisogno di creare una legge doppione, anche perché gli italiani non la sentivano! Gli americani stessi avvisano gli italiani di questa deriva pericolosa. Il 5 novembre 1938, il sottosegretario di Stato americano in un colloquio con l’ambasciatore italiano a Washington gli dice: "Ma, scusate, avete 100 mila ebrei, in Italia. C’è bisogno di andare a fare una legislazione come quella che stanno facendo i tedeschi? Voi non ne avete nessun bisogno! Tra l’altro, il Vaticano – dice incidentalmente il sottosegretario di Stato – ha detto chiaramente che gli esseri umani – cito testualmente – 'non devono essere discriminati a causa della loro fede religiosa o della loro origine razziale'. Allora, se l’ha detto il Vaticano – e questo è il discorso che fanno gli americani – è chiaro che voi, un Paese cattolico, un Paese che ha dentro il Vaticano, dovreste in qualche modo prendere esempio da quello che il Vaticano sta facendo". E quando il decreto legge viene pubblicato, il 13 novembre 1938, quindi tre giorni dopo la sua pubblicazione, la Segreteria di Stato pubblica una nota di protesta, consegnata all’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede.

 
D. – Prof. Napolitano, perché la Chiesa viene talvolta indicata come responsabile di fatti negativi in questo periodo bellico?

 
R. – Penso ci sia in parte anche un processo anche di rimozione di un passato e ci sia anche una volontà di non riconoscere le vere colpe: le vere colpe non stanno certamente nella Chiesa cattolica, che in quel momento era enclave, cioè era un’isola circondata dall’Italia fascista e dall’Italia fascista che nel 1943 – voglio ricordarlo – fu occupata dai nazisti. Quindi, buttare sulla Chiesa tutte le colpe di decisioni, di atti, di fatti che hanno altre responsabilità, furono – appunto – compiuti da altri, mi sembra quantomeno fuorviante e quantomeno riduttivo. Voglio soltanto ricordare una cosa, che la Santa Sede e la Sede Apostolica già dal 1933, a pochi giorni dal varo della prima legislazione antisemita tedesca, è la prima a muoversi in favore degli ebrei tedeschi, quando nessuno – tra le grandi potenze europee – rompe i ponti con Hitler o rompe le relazioni diplomatiche con la Germania nazista per il fatto di aver varato una legge razziale contro gli ebrei tedeschi.







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