I vescovi indiani: le violenze anticristiane sono atti di terrorismo
Gli attacchi contro i cristiani in India devono essere riconosciuti dal governo come
veri e propri atti di terrorismo. Lo chiedono i vescovi indiani commentando l’approvazione
ieri di due progetti legge sul tema. Secondo i presuli la definizione di terrorista
che essi propongono è limitata e dovrebbe invece aderire a quella indicata nel “National
Security Guard Act” del 1986, che definisce “terrorista” chi compie “atti mirati a
intimidire il governo, seminare il terrore fra la gente o disturbare l’armonia sociale”
utilizzando “bombe, dinamite o alte sostanze esplosive o infiammabili, armi da fuoco
o altri strumenti che siano in grado di procurare la morte o distruggere proprietà”
essenziali “per la vita della comunità”. Una definizione che – sottolineano i vescovi
- corrisponde alle violenze dei fondamentalisti indù contro i cristiani in Orissa.
Inoltre, nel rispetto delle vittime delle persecuzioni e degli attacchi terroristici
di Mumbai, i presuli chiedono di festeggiare il Natale nel Paese con sobrietà, evitando
le ostentazioni. Al Forum Cristiano Unito per i Diritti Umani del Gujarat (GUCFHR),
riunitosi ad Ahmedabad il 15 dicembre, i presuli hanno lanciato un appello ai fedeli
e alle istituzioni affinché le festività natalizie, pur rimanendo “un evento gioioso”,
siano celebrate attenuando le “manifestazioni esteriori di gioia”, “in solidarietà
con le vittime degli attacchi terroristici e con i dolorosi avvenimenti in Orissa
e in altre zone del Paese”. I presuli hanno inoltre chiesto di “risparmiare denaro
da utilizzare per alleviare le sofferenze umane”, mentre in un documento redatto in
conclusione dell’incontro il GUCFHR ha ribadito che il Natale ci ricorda che Dio è
presente “in ogni essere umano, indipendentemente dal ceto sociale, dalla religione
e dalla razza”. Un invito che appare stringente nel Paese dove non si placano le violenze
antireligiose. Risale allo scorso 16 dicembre il rapimento di un leader cristiano
molto noto e stimato nel distretto di Kandhamal, in Orissa. L’uomo – riferisce Asianews
- è stato aggredito da un gruppo di 50 persone mentre era in compagnia figlio, che
invece è riuscito a scappare. Padre Ajay Singh, dall’Arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar,
fa sapere che dopo le violenze scatenate in agosto dall’uccisione dello Swami Saraswati
nel Paese “la situazione non è cambiata molto e nei campi profughi l’inverno sta rendendo
le condizioni di vita ancor più difficili. Le persone raccolte nei centri sono 11mila
circa”. Nonostante gli inquirenti abbiano indicato nei movimenti maoisti i responsabili
dell’assassinio, gli estremisti indù continuano ad accusare i cristiani e minacciano
proteste nel giorno di Natale. Il governo ha risposto vietando ogni manifestazione
mentre la polizia ha già fermato sette persone. (C.D.L.)