Il magistero di Benedetto XVI sull'Avvento, tempo di speranza
Da due millenni la Chiesa cammina in un’attesa che non delude: quella della venuta
di Cristo celebrata nell’Avvento. In questi anni di Pontificato, Benedetto XVI ha
posto in risalto accenti spirituali diversi del periodo che segna l’inizio dell’anno
liturgico per la Chiesa nel mondo. Tutti legati da un aspetto che manca a molta parte
della nostra epoca e invece che dell’Avvento può essere considerato il “colore”: la
speranza. In questo servizio, Alessandro De Carolis ripercorre il Magistero
del Papa sull’Avvento:
(musica)
Quando
nella sera dell’anno zero per la fede e per la storia, le porte dell’albergo si chiusero
più volte in faccia a quella giovane coppia approdata con gran fatica a Betlemme,
Dio bussò al cuore di gente analfabeta e senza mezzi, ma capace di condividere il
suo niente, e così il primo Avvento del mondo poté concludersi davanti agli occhi
di chi più aveva bisogno di toccare con mano la Speranza. Venti secoli dopo, una collaudata
coreografia ha imparato a comunicare in questo periodo un senso di attesa: decorazioni
e schermi sui quali non cala mai la notte, tante porte che restano aperte e invitanti.
Anche oggi si attende qualcosa, è evidente. Non necessariamente Qualcuno. Nell’albergo
del cuore umano le porte ostentano spesso l’indifferenza di duemila anni fa.
Eppure
esclamò Benedetto XVI all’omelia dei primi Vespri d’Avvento del 2006, “l’unico vero
Dio” non “è un Dio che se ne sta in cielo, disinteressato a noi e alla nostra storia,
ma è il-Dio-che-viene” nell’oggi dell’umanità. E’ venuto una prima volta, ha promesso
di tornare alla fine dei tempi. Ma non si rinuncia - spiegò il Papa il 26 novembre
2005 - a vivere l’Avvento di ogni anno e ogni giorno:
“In
un certo senso il Signore desidera sempre venire attraverso di noi. E bussa alla porta
del nostro cuore: sei disponibile a darmi la tua carne, il tuo tempo, la tua vita?
È questa la voce del Signore, che vuole entrare anche nel nostro tempo, vuole entrare
nella vita umana tramite noi. Egli cerca anche una dimora vivente, la nostra vita
personale”.
Chi impara ad aprire queste porte,
accetta di combattere oggi la “buona battaglia della fede” che fu di Paolo di Tarso.
Perché accogliere Gesù Bambino e farlo crescere dentro di sé e, attraverso di sé,
renderlo visibile a chi non lo conosce o lo ha dimenticato è un impegno che richiede
una forza sovrumana: cioè la forza di Dio, che l’uomo ha imparato a invocare fin dal
suo primo approccio con la divinità. La prova di ciò, ha affermato il Papa lo scorso
29 novembre, sono i Salmi:
“Signore, a te grido,
accorri in mio aiuto (…) E’ il grido di una persona che si sente in grave pericolo,
ma è anche il grido della Chiesa fra le molteplici insidie che la circondano, che
minacciano la sua santità, quell’integrità irreprensibile di cui parla l’apostolo
Paolo, che deve invece essere conservata per la venuta del Signore. E in questa invocazione
risuona anche il grido di tutti i giusti, di tutti coloro che vogliono resistere al
male, alle seduzioni di un benessere iniquo, di piaceri offensivi della dignità umana
e della condizione dei poveri”.
E’ forte, dunque,
l’uomo che vive l’Avvento, perché spera in un Qualcuno che sa che arriverà. Del resto,
ha più volte ripetuto Benedetto XVI in questi anni, “l’Avvento è per eccellenza la
stagione spirituale della speranza”. Un tema caro al Papa al punto da dedicare ad
esso la sua seconda Enciclica, Spe salvi, pubblicata il 30 novembre 2007, proprio
il giorno prima dell’inizio d’Avvento dello scorso anno. Il giorno dopo, Benedetto
XVI, nel ricordarlo, sottolineò l’incrollabile desiderio di Dio di farsi bambino ogni
anno in mezzo alla gente di ogni tempo:
“All’umanità
che non ha più tempo per Lui, Dio offre altro tempo, un nuovo spazio per rientrare
in se stessa, per rimettersi in cammino, per ritrovare il senso della speranza”.
“Pace
agli uomini di buona volontà”. Ai poveri della notte di Betlemme, che aprirono le
porte del cuore al mistero di quella Nascita, fu comunicata una “qualità” che quel
Bambino portava con sé, oltre alla speranza. Così Benedetto XVI lo mise in risalto
il 2 dicembre 2006:
“Per i credenti ‘pace’ è uno
dei più bei nomi di Dio, che vuole l'intesa di tutti i suoi figli (…) In questa prospettiva
l'Avvento è più che mai adatto ad essere un tempo vissuto in comunione con tutti coloro
- e grazie a Dio sono tanti - che sperano in un mondo più giusto e più fraterno. In
questo impegno per la giustizia possono in qualche misura ritrovarsi insieme uomini
di ogni nazionalità e cultura, credenti e non credenti”. (musica)