2008-12-14 15:07:39

Il vescovo di Trapani: accoglienza è il nome nuovo della carità


“Accoglienza: ecco la parola chiave di un Avvento, tempo liturgico privilegiato, che vorremmo vivere in tutta la sua forza spirituale prorompente e in tutto il suo valore salvifico”. E’ uno dei passaggi della lettera pastorale scritta da mons. Francesco Miccichè, vescovo di Trapani, per la diocesi della città siciliana che, da tempo, conosce bene la realtà degli immigrati venuti in Italia nei tanti “viaggi della speranza”. “La cultura dell’accoglienza – scrive il presule - è il nome nuovo della carità”. Ma in che senso? Benedetta Capelli lo ha chiesto allo stesso mons. Francesco Miccichè:RealAudioMP3

R. – Perché la Carità, che è Dio, è in noi e non può non farci accogliere l’altro. E’ l’accoglienza la cifra del cristiano vero, il nome nuovo della carità in questa società globalizzata dove non ci sono più confini, dove i meno fortunati bussano alle porte di questo opulento Occidente. Dovremmo riscoprire il senso della sobrietà per condividere con i nostri fratelli. In un certo senso, dobbiamo svuotare il nostro io dal super-io, farlo diventare semplicemente Io. Spesso e volentieri, invece, quell’io lo facciamo diventare Dio ed è quello che ci impedisce un’accoglienza vera dell’altro; se non facciamo posto nel nostro profondo, non c’è possibilità di creare quell’umanità sanata e in pace che, appunto, è negli auspici di tutti.

 
D. – E’ tempo di Avvento: aspettiamo Gesù che nasce in un mondo che non lo riconosce…

 
R. – Dire che viene il Natale sembra una parodia del Natale stesso perché non riconosciamo quel bambino che è venuto duemila anni fa e che continua a venire ancora nel mondo. E’ il volto di chi è stato dimenticato, di chi è solo, di chi è abbandonato, di chi è forestiero. Facciamo difficoltà - forse perché abituati troppo nel nostro quieto vivere - ad accorgerci che Gesù ancora è povero, ancora è forestiero. Dovremmo un po’ tutti essere come i pastori: correre, andare alla grotta e portare i nostri piccoli e grandi doni, ma soprattutto portare noi stessi.

 
D. – Assistenza e assistenzialismo sono due concetti decisamente differenti…

 
R. - Per certi versi l’assistenza potrebbe diventare una carità farisaica, un’assistenza cui non segue un’accoglienza dell’altro, un’accettazione dell’altro, una promozione dell’altro. E’ una falsa carità, è una carità bugiarda.

 
D. – Quale risposta ha avuto nella sua diocesi la sua proposta di invitare a pranzo gli immigrati per Natale?

 
R. – Da parte di alcuni benpensanti, già vedere questi nostri fratelli, di razza, cultura e religione diverse significa esserne disturbati; per altri, invece, è stata l’occasione per riscoprire il senso del Vangelo nella loro vita.

 
D. – Trapani è una diocesi che vive sulla sua pelle il fenomeno dell’immigrazione; quali paure persistono tra i suoi fedeli?

 
R. – Il diverso fa sempre paura. E' questa paura che bisogna sconfiggere attraverso il Vangelo, portatore di speranza e di ottimismo. La logica che il Vangelo ci porta è quella di raccogliere l’altro e di diventare cireneo per l’altro, portando la croce gli uni con gli altri, gli uni per gli altri. Su questa lunghezza d’onda si cerca di costruire - per quanto si può e come si può – quella cultura nuova che, appunto, deve essere la cultura dell’amore, la cultura che crea civiltà nuova.







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