Il vescovo di Trapani: accoglienza è il nome nuovo della carità
“Accoglienza: ecco la parola chiave di un Avvento, tempo liturgico privilegiato, che
vorremmo vivere in tutta la sua forza spirituale prorompente e in tutto il suo valore
salvifico”. E’ uno dei passaggi della lettera pastorale scritta da mons. Francesco
Miccichè, vescovo di Trapani, per la diocesi della città siciliana che, da tempo,
conosce bene la realtà degli immigrati venuti in Italia nei tanti “viaggi della speranza”.
“La cultura dell’accoglienza – scrive il presule - è il nome nuovo della carità”.
Ma in che senso? Benedetta Capelli lo ha chiesto allo stesso mons. Francesco
Miccichè:
R. – Perché
la Carità, che è Dio, è in noi e non può non farci accogliere l’altro. E’ l’accoglienza
la cifra del cristiano vero, il nome nuovo della carità in questa società globalizzata
dove non ci sono più confini, dove i meno fortunati bussano alle porte di questo opulento
Occidente. Dovremmo riscoprire il senso della sobrietà per condividere con i nostri
fratelli. In un certo senso, dobbiamo svuotare il nostro io dal super-io, farlo diventare
semplicemente Io. Spesso e volentieri, invece, quell’io lo facciamo diventare Dio
ed è quello che ci impedisce un’accoglienza vera dell’altro; se non facciamo posto
nel nostro profondo, non c’è possibilità di creare quell’umanità sanata e in pace
che, appunto, è negli auspici di tutti.
D. – E’ tempo
di Avvento: aspettiamo Gesù che nasce in un mondo che non lo riconosce…
R.
– Dire che viene il Natale sembra una parodia del Natale stesso perché non riconosciamo
quel bambino che è venuto duemila anni fa e che continua a venire ancora nel mondo.
E’ il volto di chi è stato dimenticato, di chi è solo, di chi è abbandonato, di chi
è forestiero. Facciamo difficoltà - forse perché abituati troppo nel nostro quieto
vivere - ad accorgerci che Gesù ancora è povero, ancora è forestiero. Dovremmo un
po’ tutti essere come i pastori: correre, andare alla grotta e portare i nostri piccoli
e grandi doni, ma soprattutto portare noi stessi.
D.
– Assistenza e assistenzialismo sono due concetti decisamente differenti…
R.
- Per certi versi l’assistenza potrebbe diventare una carità farisaica, un’assistenza
cui non segue un’accoglienza dell’altro, un’accettazione dell’altro, una promozione
dell’altro. E’ una falsa carità, è una carità bugiarda.
D.
– Quale risposta ha avuto nella sua diocesi la sua proposta di invitare a pranzo gli
immigrati per Natale?
R. – Da parte di alcuni benpensanti,
già vedere questi nostri fratelli, di razza, cultura e religione diverse significa
esserne disturbati; per altri, invece, è stata l’occasione per riscoprire il senso
del Vangelo nella loro vita.
D. – Trapani è una diocesi
che vive sulla sua pelle il fenomeno dell’immigrazione; quali paure persistono tra
i suoi fedeli?
R. – Il diverso fa sempre paura. E'
questa paura che bisogna sconfiggere attraverso il Vangelo, portatore di speranza
e di ottimismo. La logica che il Vangelo ci porta è quella di raccogliere l’altro
e di diventare cireneo per l’altro, portando la croce gli uni con gli altri, gli uni
per gli altri. Su questa lunghezza d’onda si cerca di costruire - per quanto si può
e come si può – quella cultura nuova che, appunto, deve essere la cultura dell’amore,
la cultura che crea civiltà nuova.