2008-12-11 15:37:51

Shock in Gran Bretagna per l’eutanasia in tv


Divampano le polemiche in Gran Bretagna, all’indomani della messa in onda, da parte della rete privata Sky, del suicidio assistito di Craig Ewert, un uomo affetto da sclerosi laterale amiotrofica, praticato in una clinica svizzera. “In che mondo viviamo - si chiede il quotidiano londinese Daily Mail - se la morte di un uomo viene diffusa da una canale televisivo come intrattenimento”. Sulla triste vicenda, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di mons. Ignacio Carrasco de Paula, direttore dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica e cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita:RealAudioMP3

R. - Direi che ci sono due questioni che sono, mi sembra, un po’ diverse. Uno è il fatto in se stesso tristissimo, che quest’uomo cioè abbia finito la sua vita in questo modo. Poi, il fatto che tutto ciò sia diventato spettacolo.

 
D. - Viene alla mente il monito di Giovanni Paolo II sulla cultura della morte …

 
R. - Sì: questo senza dubbio. Ma direi soprattutto che questa spettacolarizzazione è, per me, un fatto gravissimo. Non solo segna una mancanza di etica nell’ambito della comunicazione, ma è anche un segno di confusione, un modo anche di seminare paura e terrore nella gente.

 
D. - Il nome della clinica svizzera dove è stato praticato questo suicidio assistito è “Dignitas”…

 
R. - Siamo di fronte a questi giochi di parole, nei quali si vuole nascondere una realtà rendendola quasi un avvenimento. Noi - io lavoro nella Facoltà di medicina al Gemelli - abbiamo in ospedale una lunghissima esperienza con malati affetti da “Sla”. Da noi, la dignità senz’altro ha un senso molto diverso. E’ degno accompagnare, aiutare queste persone fino alla fine. E si tratta di persone che hanno un grande desiderio di vivere e riescono poi anche ad essere di esempio nel modo in cui vivono questa malattia terribile. Direi che è un momento nel quale effettivamente la dignità viene fuori. Già diverse volte sono stato ammirato e stupito di quali livelli possano raggiungere persone che sembrano apparentemente ormai non poter fare più nulla e dimostrano invece una fortezza, un’eccellenza morale straordinaria.

 
Mons. Carrasco sottolinea dunque l’importanza della relazione dei medici con i malati, specie quando si tratta di patologie incurabili. Concorda il prof. Vittorio Saraceni, presidente dell’Associazione medici cattolici italiani, che, intervistato da Alessandro Gisotti, esprime il suo rammarico per la vicenda del suicidio assistito in tv: RealAudioMP3

R. - Questo dramma non può essere né spettacolarizzato né banalizzato. Credo ci sia, al fondo, la paura e il desiderio di esorcizzare questo evento. Però, non è così che lo si affronta. Lo si affronta dando a questo evento il senso umano che ha, e quindi il suo valore antropologico. Credo che l'altra sia la maniera peggiore per affrontare la morte, perché non si può cancellare dalla nostra esperienza.

 
D. - Al di là dell’evento televisivo, resta la questione di merito: un suicidio assistito…

 
R. - Sì, resta la questione di merito. Quello che sorprende è tutto questo spazio mediatico che si dà a queste scelte, mentre invece poi passano sotto traccia e in silenzio le scelte eroiche di chi quotidianamente affronta il dolore, la sofferenza, affronta la fragilità, affronta la paura della morte con la consapevolezza, il desiderio tutto umano di vivere fino in fondo questa esperienza. Di queste cose, nessuno ne parla. Conosco tanta gente che ha scelto di vivere, con una condizione di grave malattia e di certezza di un progredire verso la fine della vita ma anche con grande dignità e forza umana. Costoro sono quindi una controtestimonianza assai forte rispetto a eventi che invece purtroppo restano soltanto una testimonianza negativa.

 
D. - Greg Ewert ha detto che lo ha fatto per dignità: ecco, forse anche qui c’è una errata comprensione del concetto di dignità umana...

 
R. - Questo è un grande tema sul quale bisognerebbe riflettere. Ci sono degli studi di grandissimo interesse che dimostrano come i pazienti si sentano in una condizione di “indegnità” perché sono guardati in una maniera diversa. Allora, questo dovrebbe indurre noi medici e tutto il personale sanitario a guardare la sofferenza con capacità di accoglienza, perché è soltanto quando noi distogliamo lo sguardo che i pazienti si sentono “indegni”, in quanto avvertono quella distanza, avvertono quello sguardo ostile. La dignità dunque sta, fondamentalmente, anche nella relazione. Forse questo è un passaggio culturale sul quale in passato non abbiamo riflettuto abbastanza. La dignità è un valore oggettivo che hanno tutti, ma si fonda sulla relazione. Allora, dobbiamo essere capaci di instaurare questa relazione. Dentro questa relazione, i pazienti si sentono sempre degni.







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