Il direttore dell’Unicri, Calvani: tornare allo spirito originario della fondazione
dell'Onu
L’anno che volge al termine è stato particolarmente significativo per le Nazioni Unite:
con numerose iniziative è stato infatti celebrato il 60.mo anniversario della Dichiarazione
universale dei Diritti dell’uomo. Uno dei momenti culminanti di queste celebrazioni
è stato l’intervento di Benedetto XVI al Palazzo di Vetro di New York, nell’aprile
scorso. Per una riflessione sull’attualità di questo documento e le prospettive per
il futuro, Alessandro Gisotti ha intervistato Sandro Calvani, direttore
dell’Unicri, l’Istituto Internazionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine
e la Giustizia:
R. – Io credo
che quello che più manca e che era forte, invece, 60 anni fa, è il senso dell’urgenza
e una leadership visionaria. Volevano dire ‘basta’ alla guerra, perché erano preoccupati
del costo umano ed economico delle future guerre. Si rendevano conto di quanto era
costata in vite umane la guerra mondiale, quanto è stato bruciato in termini di risorse
… capivano che non era possibile continuare nell’umanità con altre guerre così. E
quindi avevano una visione, il sogno di cambiare strada. Oggi c’è molto meno di questo,
nel mondo; c’è molta meno voglia di cambiare, nonostante alcuni indicatori – per esempio,
questa crisi finanziaria che affrontiamo oggi – dimostrino che delle regole assolute
in cui il mercato governa qualunque cosa non danno soluzioni opportune. Quindi, c’è
più bisogno di ciò che era alla base della Carta delle Nazioni Unite. D.
– Il traffico degli esseri umani è una delle piaghe del nostro tempo: cosa si sta
facendo per sconfiggere questo fenomeno aberrante? R. – La piaga
c’è ed è molto grave; è un vero cancro con metastasi in ogni Paese del mondo: non
c’è Paese che ne sia immune. Oggi ci sono 27 milioni di nuovi schiavi al mondo, quindi
molti di più di quelli che c’erano quando la schiavitù era legale. Voglio qui esprimere
gratitudine alla Chiesa cattolica perché molte delle sue istituzioni, in particolare
istituti religiosi maschili e femminili in varie parti del mondo, come anche gli istituti
missionari, sono la prima linea della resistenza. Accolgono le vittime del traffico
di persone, alcune volte le nascondono all’interno dei conventi, proprio per permettere
loro di ricostruire un minimo di dignità che è necessaria prima di passare a denunciare
questo crimine in un tribunale. Lo fanno mettendo a rischio la propria vita e quella
della propria famiglia. Recentemente, Ingrid Betancourt ha fatto un appello affinché
siano liberati tutti i prigionieri che vengono detenuti in forme illegali, in forme
di schiavitù. Se qualche sequestratore nel mondo che ci ascolta o che ha sentito parlare,
attraverso la Radio Vaticana, di questi principi, facesse il gesto di liberare una
delle persone sotto sequestro, una delle persone tenute in stato di schiavitù, questo
sarebbe un grandissimo modo per celebrare i 60 anni della Dichiarazione universale
dei diritti umani. D. – Nel mondo post-11 settembre, come è
possibile garantire la sicurezza dei cittadini senza violare la libertà e la dignità
delle persone? R. – Già nell’anno 2000, il segretario generale
delle Nazioni Unite dell’epoca, Kofi Annan, aveva detto che non raggiungeremo lo sviluppo
sostenibile senza il rispetto dei diritti umani; non avremo i diritti umani senza
il rispetto dello sviluppo sostenibile, ma non avremo né diritti umani né sviluppo
sostenibile senza sicurezza e giustizia per tutti. Ed eravamo nel 2000. Il che vuol
dire che l’umanità aveva già scoperto che senza sicurezza non si costruisce sviluppo.
Molti casi in Africa lo dimostrano: si potrebbe fare una lunga lista di Paesi africani
dove non c’è sicurezza e quindi non ci sono investimenti. Ciò è una prova che la sicurezza
e la giustizia sono fondamentali per la costruzione dei diritti umani. Per molti decenni,
nello sviluppo si è data poca attenzione a questo: si pensava che fosse soltanto un
problema della polizia. In realtà, è tutto un cammino: dalla sicurezza sul luogo del
lavoro fino alla sicurezza nell'accesso ad un tribunale fino poi a poter denunciare
un crimine di qualunque forma. Bisogna che tutti i Paesi incomincino a collaborare,
a livello internazionale, nella lotta contro il crimine organizzato.