Giornata di studio in Vaticano su "Culture e religioni in dialogo". Tra i relatori,
il cardinale Tauran e mons. Ravasi
“Culture e religioni in dialogo” è il titolo di una Giornata di studio promossa oggi
in Vaticano dai Pontifici Consigli della Cultura e del Dialogo Interreligioso, alla
presenza dei due capi dicastero - l’arcivescovo Gianfranco Ravasi e il cardinale Jean-Louis
Tauran - e di note personalità internazionali del mondo culturale e religioso. L’incontro,
che si concluderà nel pomeriggio, è imperniato su un confronto sul tema del dialogo
considerato tanto dal punto di vista cristiano quanto da approcci estranei alla fede,
come quello proposto questa mattina dal prof. Salvatore Natoli, docente di Filosofia
teoretica all’Università di Milano-Bicocca. A seguire l’avvenimento, c’era Alessandro
De Carolis:
Sono il dialogo
e l’ecumenismo i “luoghi” dove si costruisce l’Europa del terzo millennio. Un’Europa,
quella attuale, molto diversa da quella di secoli or sono perché caratterizzata da
un accentuato nomadismo di popoli - e quindi di culture e religioni diverse - nella
quale pure se il cristianesimo “non è più un evento fondatore” dell’attività sociale
e istituzionale, come poteva accadere millennio fa, spinge comunque gli europei a
vivere, ha detto, secondo “un umanesimo di origine cristiana”. E’ questa, in estrema
sintesi, la posizione espressa dal cardinale Jean-Louis Tauran, nel suo intervento
d’apertura alla Giornata di studio promossa dai dicasteri vaticani della Cultura e
del Dialogo Interreligioso. In questo scenario di progressiva, inarrestabile interpenetrazione
culturale, ha affermato il cardinale Tauran:
“Il
cristianesimo rimane, lungo la storia, un’iniziativa e una fonte. Il cristianesimo
non è una morale, non è un insieme di dogmi, ma è questo messaggio vivo di un Dio
che ci parla e dell’uomo che risponde e che trova in questo dialogo l’ispirazione
per i suoi impegni quotidiani”.
Mons. Gianfranco
Ravasi si è soffermato sul plurale di “culture” e di “religioni” così come imposto
al titolo della Giornata. Sulle culture, ha osservato, è legittimo parlarne al plurale
oggi in Europa, perché si sta recuperando ciò che fin dall’antichità greci e latini
avevano già: non solo cultura sotto l’aspetto speculativo-razionale - e in fondo elitario
come poi verrà a cristallizzarsi nel Settecento - ma nel senso più ampio di "paideia",
di "humanitas", che attiene - ha detto - “alla formazione integrale dell’uomo”. Per
mettere dunque in dialogo culture e religioni, ha proseguito, si possono seguire tre
piste. Prima, la lotta contro gli estremismi: il fondamentalismo che soffoca, da un
lato, e il sincretismo che dissolve le specificità, dall’altro. Secondo, la lotta
contro la “smemoratezza”:
“Soprattutto la nostra
civiltà occidentale si è sempre di più progressivamente stinta, e forse anche estinta,
alla fine, nel suo succo profondo. Ecco allora, ritrovare la grande eredità, il grande
patrimonio culturale e religioso vuol dire alla fine essere capaci di presentarci
davanti, per esempio, ad un islam che ha una forte identità, una forte consapevolezza
del suo patrimonio culturale, e da lì continuare il dialogo. Da ultimo, io direi,
una delle tante strade possibili è sicuramente quella del ritrovare quella base comune
e radicale che ci unisce: una moralità di fondo che purtroppo ai nostri giorni è stata
spenta e sostituita dalla amoralità, cioè da una indifferenza che alla fine costituisce
quasi l’unico comportamento: si procede come in una nebbia, non ci sono più le grandi
luci del Bene e del Male, della giustizia e dell’ingiustizia, del vero e del falso”.
Il
filosofo Salvatore Natoli, dell’Università Milano-Bicocca, ha presentato una sua visione
laica del dialogo tra le culture intese, nella loro essenzialità, come “forme di vita”,
esperienze esistenziali. Poiché, come dimostra la ricerca scientifica più avanzata,
l’uomo è organicamente strutturato per essere in relazione - come dimostrano i “neuroni
a specchio”, cellule neuronali specializzate nell’interazione - non sono tanto dogmi
o le culture, ha sostenuto il prof. Natoli, ad aprirci verso gli altri, quanto una
naturale predisposizione dell’uomo di essere affine ai suoi simili, qualsiasi siano
le loro provenienze. Ed è questa affinità, ha ribadito, che deve essere “valorizzata”
in vista di una mutua cooperazione al bene comune.
Tuttavia,
aveva osservato in precedenza mons. Ravasi, sono gli uomini di fede a essere oggi
uno stimolo per le coscienze proprio verso le grandi questioni o i grandi valori dell’esistenza,
in un tempo in cui l’uomo ha smesso di interrogarsi e dunque di avere una direzione:
“Da
una parte, abbiamo l’ateismo che è in crisi: quello drammatico, coerente e cosciente,
che vive sapendo che i cieli sono del tutto spogli e tuttavia si deve avere lo stesso
avere una norma di vita per poter coesistere con gli altri. Ai nostri giorni, abbiamo
invece un ateismo che è fatto di indifferenza, di superficialità, di banalità: è quasi
una sorta di ‘gioco di società’ il negare Dio. Dall’altra parte, però, abbiamo una
situazione analoga anche per il credente: abbiamo una fede che sta sempre di più diventando
fluida, inconsistente, oppure di una vaga spiritualità e devozionalismo, che non giunge
invece ai temi penultimi e ultimi che sono fondanti. Penultimi, perché sono quelli
dell’impegno nella società: nell’amore, nella carità, nella giustizia. E ultimi perché
sono quelli di Dio, della verità ultima, della vita, della morte e oltre la morte.
Questa è la vera grande fede, la vera grande religiosità”.